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30 Ottobre 2011

San Leonardo Confessore (Linarolo), 30 Ottobre 2011

Carissimi Parrocchiani,

continuando la nostra riflessione su Giacobbe, seguiamo ora il nostro patriarca nel suo viaggio verso Carran, il paese natale di Abramo e nel quale vivono ancora parenti di famiglia, tra cui lo zio Labano.

Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo,  dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese una pietra, se la pose  come guanciale e si coricò in quel luogo (Gen 28,10-11)

“Capitò”: questa espressione lascia intendere che Giacobbe sta procedendo in modo avventuroso. Certo, ha una meta: Carran; tuttavia, la strada attraverso la quale arrivarvi è, invece, improvvisata. Si sta muovendo su strade inconsuete che potrebbero esporlo a qualsiasi pericolo. Giacobbe, in questo momento, è un uomo che ha perso ogni punto di riferimento e che è disposto a tutto, pur di raggiungere nell’immediato lo scopo che gli sta a cuore. È “capitato” in quel luogo “per caso” e lì passa la notte all’aperto, prende una pietra per guanciale e durante il sonno fa un sogno:

Fece un sogno: una scala poggiava sulla  terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo;
ed ecco gli angeli di Dio salivano e  scendevano su di essa.
Ecco il Signore gli stava davanti e disse:
<<Io sono il  Signore, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco.
La terra sulla quale tu sei  coricato la darò a te e alla tua discendenza.
La tua discendenza sarà come la  polvere della terra e ti estenderai
a occidente e ad oriente, a settentrione e a  mezzogiorno.
E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni  della terra.
Ecco io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai;
poi ti farò  ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò
senza aver fatto tutto quello  che t’ho detto>>

(Gen 28,12-15)

Ciò che vive Giacobbe in quella notte è soltanto un sogno e, quindi – si direbbe – qualcosa di inconsistente. In realtà, Giacobbe, anche per la particolare situazione di distacco dalla sua terra che sta vivendo, ne è profondamente segnato. Nel sogno ha vissuto un’intensa esperienza religiosa, anche se, per il momento, non se ne rende pienamente conto. La sua formazione religiosa è ancora povera: non ha ancora la maturità necessaria per valutare l’importanza del sogno ed tradurre il suo significato in un linguaggio adeguato. Tuttavia, quanto gli è accaduto nel sonno in quella notte resterà per sempre impresso nella sua memoria, pronto nuovamente a riaffacciarsi ogni qual volta gli si presenterà l’occasione opportuna.
In quella notte, Giacobbe ha visto aprirsi su di lui il cielo e si è sentito dire da Dio parole cariche di promessa e di speranza: “Io sono con te”. Per il momento, la sua fede, ancora germinale, non è in grado di percepire la portata di queste parole. A differenza del nonno Abramo, non ha dimestichezza con esperienze religiose intense. Il suo rapporto con Dio, fino ad allora, era rimasto piuttosto esteriore e esposto al rischio – come nel caso della furberia con cui ha ottenuto la benedizione del padre – di una valorizzazione utilitaristica.
Nonostante questo, Giacobbe ha la percezione che qualcosa di straordinario è avvenuto nella sua vita e i versetti che seguono ne danno conferma. Ma li commenterò la prossima volta.

Don Luigi Pedrini

16 Ottobre 2011

San Leonardo Confessore (Linarolo), 16 Ottobre 2011

Carissimi Parrocchiani,

poniamo oggi attenzione a Giacobbe che riceve da Isacco la benedizione legata alla primogenitura. Persuaso di averne diritto, con una disinvoltura che sorprende, Giacobbe attua la sua trama per ottenerla. Isacco è ormai nel pieno della sua paternità, i figli sono cresciuti e si preparano ciascuno a intraprendere la propria strada. Isacco, però, è anche un uomo sofferente: è diventato cieco e ha il cuore pieno di dispiacere  per le scelte matrimoniali di Esaù che egli non condivide.In questa situazione, reputa ormai giunto il tempo di dare a Esaù la benedizione che gli spetta in quanto primogenito. Lo chiama e, prima di benedirlo, lo invia a cercare la selvaggina, cibo a lui molto gradito. Giacobbe, però, grazie a Rebecca che cucina secondo il gusto del marito un animale preso dall’ovile, si presenta al padre con la “selvaggina”, dopo essersi camuffato in modo da risultare peloso come il fratello ed essere così scambiato per Esaù.
Così egli venne dal padre e disse: <<Padre mio>>. Rispose: <<Eccomi; chi sei tu,  figlio mio?>>. Giacobbe rispose al padre: <<Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho  fatto come tu mi hai ordinato. Alzati dunque, siediti e mangia la mia selvaggina,  perché tu mi benedica>>. Isacco disse al figlio: <<Come hai fatto presto a trovarla,  figlio mio!>>. Rispose: <<Il Signore me l’ha fatta capitare davanti>>. Ma Isacco gli  disse: <<Avvicinati e lascia che ti palpi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio  figlio Esaù o no>>. Giacobbe si avvicinò ad Isacco suo padre, il quale lo tastò e  disse: <<La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù>>.  Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo  fratello Esaù, e perciò lo benedisse. Gli disse ancora: <<Tu sei proprio il mio figlio  Esaù?>>. Rispose: <<Lo sono>>. Allora disse: <<Porgimi da mangiare della selvaggina  del mio figlio, perché io ti benedica>>. Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino  ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli disse: <<Avvicinati e baciami, figlio mio!>>.  Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’odore degli abiti di lui e lo benedisse:  <<Ecco l’odore del mio figlio come l’odore di un campo che il Signore ha benedetto. Dio ti conceda rugiada del cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto. Ti servano i popoli e si prostrino davanti a te le genti. Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto!>> (Gen 27,18-29).

Nell’episodio colpisce la determinazione con cui Giacobbe, va dritto verso l’obiettivo prefissato. Di fronte ai dubbi del padre prima conferma la sua falsa identità; poi, dichiara che grazie al Signore ha potuto trovare in fretta la selvaggina. C’è da notare che il nome di Dio risuona sulle labbra di un uomo che sta agendo con inganno e ne sta facendo un utilizzo strumentale. È significativo che da questo momento il nome del Signore scompare per molto tempo dal testo: Dio è stato nominato invano e ora è come se si ritirasse.
Veramente, il cammino di Giacobbe è diverso da quello di Abramo e anche di Isacco. Abramo lo si vede in continuo dialogo con Dio, desideroso di obbedire alla Parola; Isacco ama il raccoglimento e il silenzio; Giacobbe, invece, è uno che, agli inizi, non mette in primo piano il dialogo con Dio; preso dai calcoli, ricorre a Dio solo per servirsene. Così Isacco, ingannato, dà a Giacobbe la sua benedizione. Poco dopo, ritornando Esaù, scoprirà l’inganno e, tuttavia, non ritratterà quanto accaduto. Giacobbe, con grande dispiacere di Esaù, è ormai il “benedetto”.

Don Luigi Pedrini

09 Ottobre 2011

San Leonardo Confessore (Linarolo), 09 Ottobre 2011

Carissimi Parrocchiani,

riprendiamo la vicenda di Giacobbe, ponendo attenzione a uno degli episodi che maggiormente hanno segnato il suo cammino e che è rivelativo della sua personalità umanamente astuta, ma di un’astuzia che il Signore, col tempo, purificherà nell’umiltà.

Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie;
Esaù arrivò dalla  campagna ed era sfinito.
Disse a Giacobbe: <<Lasciami mangiare un pò di questa  minestra rossa, perché io sono sfinito>>
Per questo fu chiamato Edom.  Giacobbe disse: <<Vendimi subito la tua primogenitura>>.
Rispose Esaù: <<Ecco  sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?>>.
Giacobbe allora disse:  <<Giuramelo subito>>.
Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe (Gen 25,29-33).

Tutto avviene in modo repentino: Esaù è oppresso da una grande stanchezza e Giacobbe, approfittando del momento propizio, quasi per gioco, si fa cedere la primogenitura.
Sembra uno scherzo: l’impressione è che Esaù, in questo momento, non si renda conto veramente di ciò che sta avvenendo e, in ogni caso, non percepisca la portata della richiesta del fratello. In questa maniera egli dimostra una certa superficialità di carattere che non gli permette di apprezzare come meriterebbero i doni che possiede e, nel caso specifico, la primogenitura.
Il testo non si esime dal giudicare negativamente il comportamento di Esaù:

Giacobbe diede ad Esaù il pane e la minestra di lenticchie; quegli mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto aveva disprezzato la primogenitura (Gen 25,34).

Il giudizio è senza mezzi termini: Esaù ha sbagliato in quanto ha disprezzato il dono della primogenitura dimostrandosi un uomo inaffidabile: non ha saputo custodire se stesso. La sua scelta non merita alcuna scusante. L’aver sacrificato la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie è, veramente, una cosa meschina.
Questo particolare della vicenda mi ha portato a ricordare il rimprovero mosso da san Tommaso Moro a Richard, un uomo impegnato in politica che, pur di far carriera, ha sacrificato la sua dignità e onestà: “È valsa la pena per avere in cambio in cambio la contea del Galles?”, gli ha domandato san Tommaso Moro.  Come a dire: come si può mettere sullo stesso piano la propria dignità, la propria onestà di uomo e la contea del Galles? Dignità e onestà non hanno prezzo e non possono essere patteggiate.
Sta di fatto che Giacobbe si servirà della cessione della primogenitura da parte di Esaù per legittimare in certo modo la richiesta della benedizione paterna per sé riservata al primogenito.
In tempo opportuno riuscirà, ancora una volta con uno stratagemma, a ottenerla dal padre. Commenteremo questo episodio riferito nel cap. 27 la prossima volta.

Don Luigi Pedrini