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8 Ottobre 2017

Carissimi Parrocchiani,

abbiamo lasciato Davide nella strana situazione di re eletto destinato a prendere il posto di Saul che vive la sua consacrazione nel nascondimento e nel segreto.
Questa situazione conosce una svolta radicale durante la guerra che divampa tra gli Israeliti e i Filistei nella valle del Terebinto. Lì infatti Davide, ancora ragazzo, pastorello sconosciuto, affronta il gigante Golia in uno scontro che lo vede vincitore e lo eleva ad eroe agli occhi di Israele.
Con questa vittoria incomincia per Davide la graduale ascesa che lo porterà ad essere un capo valoroso dell’esercito, capace di combattere per il suo popolo e di difenderlo dall’oppressione dei nemici.
Questo episodio è molto conosciuto ed è narrato nel capitolo 17 del primo libro di Samuele. Noi lo leggiamo e commentiamo così come la Scrittura ce lo offre quantunque si percepisca anche dalla semplice lettura che il suo iter di formazione deve essere stato piuttosto travagliato. Ne sono prova alcune incongruenze che si riscontrano, come fanno notare gli esegeti, nel capitolo soprattutto in rapporto a quanto già affermato riguardo a Davide. Così ad esempio in 16,18 lo si presenta come “forte e coraggioso, abile nelle armi”, mentre in 17,33 Saul dice a Davide: “Non puoi andare a batterti con lui: tu sei un ragazzo”; in 16,21-23 si dice che Davide viene condotto a Saul e “cominciò a stare alla sua presenza”, mentre in 17,55-58 la domanda che pone Saul: “Di chi è figlio questo giovane?” sembra far capire che egli non l’abbia conosciuto prima. Queste annotazioni che appaiono in contraddizione fra loro si spiegano considerando che alle spalle del testo ci sono diverse tradizioni orali che trasmettevano la memoria della vicenda di Davide. L’autore biblico ha valorizzato le diverse tradizioni non sempre riuscendo ad armonizzarle in modo coerente. Inoltre, come fa notare il Card. Martini, può essere che questo episodio riferito qui all’inizio del cammino di Davide, in realtà sia avvenuto più avanti. Se così fosse, la scelta dell’autore biblico di collocarlo qui è molto significativa se valer il principio secondo il quale un episodio biblico “quanto più è lontano dalle fonti, tanto più è vicino all’intenzione teologica dell’autore”. Nel concreto, questa collocazione manifesta il suo alto valore simbolico: rivela il coraggio e la sapienza di fede che animano il cuore di Davide.
Possiamo suddividere il racconto in cinque scene.: prima scena: “La sfida lanciata da Golia” (vv. 1-11); seconda scena. “Davide al pascolo con il gregge” (vv. 12-20); terza scena. “Davide va al campo di battaglia” (vv 21-30); quarta scena. “Due regalità si confrontano” (vv. 31-40); quinta scena. “Davide vince Golia con la fionda” (vv. 41-58). Le passeremo ordinatamente in rassegna.

Don Luigi Pedrini

1 Ottobre 2017

Carissimi Parrocchiani,

in occasione della Sagra della “Beata Vergine Maria, Madonna del Rosario” riporto questa bella preghiera che si trova alla conclusione del Documento die Vescovi italiani “Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020.

 

Maria, Vergine del silenzio,
non permettere che davanti alle sfide di questo tempo
la nostra esistenza sia soffocata dalla rassegnazione o dall’impotenza.
Aiutaci a custodire l’attitudine all’ascolto,
grembo nel quale la parola diventa feconda
e ci fa comprendere che nulla è impossibile a Dio.

 

Maria, Donna premurosa,
destaci dall’indifferenza che ci rende stranieri a noi stessi.
Donaci la passione che ci educa a cogliere il mistero dell’altro
e ci pone a servizio della sua crescita.
Liberaci dall’attivismo sterile,
perché il nostro agire scaturisca da Cristo, unico Maestro.

 

Maria, Madre dolorosa,
che dopo aver conosciuto l’infinita umiltà di Dio nel Bambino di Betlemme,
hai provato il dolore straziante di stringerne tra le braccia il corpo martoriato,
insegnaci a non disertare i luoghi del dolore;
rendici capaci di attendere con speranza quell’aurora pasquale
che asciuga le lacrime di chi è nella prova.

 

Maria, Amante della vita,
preserva le nuove generazioni
dalla tristezza e dal disimpegno.
Rendile per tutti noi sentinelle
di quella vita che inizia il giorno in cui ci si apre,
ci si fida e ci si dona.

BUONA SAGRA A TUTTI!

17 Settembre 2017

Carissimi Parrocchiani,

prima di proseguire nel racconto della vicenda di Davide, ritorniamo a guardare alla sua elezione per fare qualche considerazione che possa illuminare anche il nostro cammino di fede.
L’episodio mette in luce un elemento che è fondamentale in ogni itinerario spirituale ed è l’iniziativa di Dio: Davide con sorpresa scopre che proprio lui, il più piccolo, il meno adatto è scelto da Dio, amato da Lui e ritenuto idoneo per una missione che mai avrebbe immaginato.
Ritroviamo così nella vicenda di Davide un elemento che abbiamo trovato nei sentieri biblici che abbiamo già percorso. Nella vicenda di Abramo l’iniziativa di Dio si configura come chiamata ad uscire dalla propria terra unitamente alla promessa di un popolo benedetto che nascerà da lui; nella vicenda di Giacobbe come offerta di benedizione perché impari a non fondarsi sulle proprie risorse ma sulla fedeltà di Dio; nella vicenda di Giuseppe come offerta di un disegno di salvezza che va a beneficio di tutta la sua famiglia; nella vita di Mosè come chiamata a liberare il suo popolo che è schiavo in Egitto. Alla luce di questi accenni ci rendiamo conto che i modi, i tempi, i contenuti dell’iniziativa di Dio variano da persona a persona e, tuttavia, ha sempre la caratteristica della gratuità e della libertà: è Dio che gratuitamente e liberamente sceglie chi vuole perché stia con Lui e per affidargli una missione.
Davide giovinetto accoglie dunque l’iniziativa di Dio e da questo momento diventa la luce interiore che rischiara tutti i passi del suo cammino di fede. Si può dire che questa accoglienza costituisce quello che sant’Ignazio di Loyola chiama Principio e Fondamento riferendosi a quella ‘roccia’ sulla quale si costruisce interamente la vita di un uomo credente.
A conferma di questo possiamo richiamare due testi della Scrittura: il primo testo, composto dallo stesso Davide, è il salmo 18. Nella versione riportata nel secondo libro di Samuele (cfr. 22,2ss.) questo salmo inizia così: “Il Signore è la mia roccia, la mia fortezza e il mio liberatore è il mio Dio”. Sono parole con le quali Davide riconosce chiaramente l’azione di grazia di Dio nei suoi confronti. Questa consapevolezza di essere amato da Dio costituisce il principio e il fondamento della sua vita.
L’altro testo si trova pure nel secondo libro di Samuele. A differenza del primo qui non è Davide che parla di sé, ma è Dio che tramite il profeta Natan ricorda a Davide che tutta la sua vita è stata segnata dalla benevolenza che gli ha usato. Una benevolenza che come ha segnato il suo passato sarà decisiva anche per il suo destino futuro: Ora dunque dirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: “Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. 9Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra.
Tutto questo e illuminante anche per la nostra vita. Ciascuno di noi può ripensare all’iniziativa di grazia di Dio nei suoi confronti per la quale può dire: “Dio mi ha scelto e mi ha amato. Se sono quello che sono lo devo alla benevolenza di Dio. Se non mi avesse chiamato, oggi non sarei qui. Può accadere qualunque cosa nella mia vita, potrei perdere tutto e tuttavia resta vero che Dio mi ama e che su questo fondamento posso sempre ricostruire tutto”

Don Luigi Pedrini

10 Settembre 2017

Carissimi Parrocchiani,
sostiamo ancora sull’episodio dell’elezione per aggiungere una seconda considerazione a quella già fatta a proposito dell’iniziativa di grazia che ha segnato la vita di Davide. La considerazione riguarda il particolare della ‘piccolezza’ di Davide: egli è il piccolo nella casa di Iesse; talmente piccolo che nessuno sospetta che sia proprio lui il designato alla consacrazione.
Torna, dunque, a fare la sua comparsa questa dimensione già apparsa nella presentazione di altri personaggi biblici prima di Davide. In precedenza Abele, il mite viene preferito al primogenito Caino; Giacobbe, il sedentario, passa davanti all’inquieto Esaù; Gedeone, il più piccolo in casa sua e appartenente alla più piccola tribù di Israele, quella di Manasse, viene scelto per liberare gli Israeliti dalle razzie dei madianiti. Più avanti Geremia troppo giovane per essere esperto nel parlare viene scelto quale portavoce di Dio.
Ci troviamo, pertanto, di fronte a una costante dell’agire di Dio: Egli ama servirsi del debole per fare, attraverso di lui, cose grandi che confondono i forti.
Questo stile misterioso di Dio giunge alla sua pienezza nel Nuovo Testamento. Lo incontriamo in Maria la piccola sulla quale si posa lo sguardo di Dio; poi, in Gesù che nasce come Davide nella piccola Betlemme e che percorre la via della piccolezza fino all’insignificanza di una morte infamante vissuta nell’abbandono.
Così la nota sulla piccolezza di Davide ci stimola ad aprire la contemplazione su Gesù. In realtà diversi tratti della vicenda di Davide sollecitano a fare questo passaggio. Oltre alla dimensione della piccolezza possiamo infatti ricordare un’altra dimensione che appare con chiarezza nell’elezione di Davide e che pure si ritrova in Gesù: è quella della segretezza/discrezione. La consacrazione di Davide avviene nel segreto di una casa e rimane celata fino a quando comincia a regnare dopo la morte di Saul. Qualcosa di simile si ritrova anche nella vita di Gesù. È Divo Barsotti a richiamare l’attenzione su questo aspetto nel suo commento biblico. Scrive:

Nella scelta di Dio si riconosce come Dio compia tutto in segreto. L’azione di Dio si svolge su un piano di silenzio e di umiltà. E tanto più questa scelta di Dio si dimostra efficace, quanto più maturerà nell’umiltà e nel silenzio i suoi eletti. Così anche Gesù. Trent’anni! Per due anni e mezzo che Gesù ha vissuto la sua missione pubblica! Per questi due anni e mezzo la preparazione di trent’anni e forse più e in questo tempo Dio sembra assente, sembra disinteressarsi del suo popolo: egli è venuto, si è fatto uomo, si è fatto nostro fratello, ma vive a Nazareth sconosciuto a tutti. Non dobbiamo avere fretta con Dio. Una delle virtù che dobbiamo esercitare di più è la pazienza, sopportare il silenzio di Dio, fidarsi di Dio anche se tace, anche se è lontano. Nella vita spirituale quante volte ci sembrerà che Dio neppure esista, ci sentiremo soli, inutili, sentiremo che la nostra vita precipita nel vuoto. Pazienza, umiltà e assoluta dimenticanza di sé: questo è il primo insegnamento che il Signore ci dà” (p. 124).

Don Luigi Pedrini

27 Agosto 2017

Carissimi Parrocchiani,

ci introduciamo alla figura di Davide considerando gli eventi relativi alla sua elezione e consacrazione. Tutto inizia con un rimprovero che Dio muove al profeta Samuele: “Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele? Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re” (1 Sam 16,1).

            Dunque, Samuele deve smettere di piangere su quanto è accaduto e mettersi invece in cammino verso Betlemme per consacrare il successore di Saul: lo troverà tra i figli di Iesse.

La missione di cui Samuele è investito è alquanto delicata: si tratta di consacrare un nuovo re, mentre Saul è ancora in vita. Un’azione rischiosa, fatta all’insaputa di un re che è già turbato: infatti, Saul sa bene che il suo potere è in pericolo dal momento che Dio l’ha rigettato come re e ha deciso di sostituirlo. Si comprende allora l’obiezione di Samuele: “Come posso andare? Saul lo verrà a sapere e mi ucciderà” (1 Sam v. 2).

Davanti alla paura manifestata dal profeta Dio indica la via d’uscita: “Prenderai con te una giovenca e dirai: “Sono venuto per sacrificare al Signore”. 3Inviterai quindi Iesse al sacrificio. Allora io ti farò conoscere quello che dovrai fare e ungerai per me colui che io ti dirò” (1 Sam v. 3).

Dunque, Samuele non avrà il problema di passare inosservato: si muoverà in modo scoperto. A chi gli chiederà conto della sua visita a Betlemme risponderà di essere venuto per compiere un sacrificio al Signore. E così rincuorato dalla risposta di Dio, si mette in cammino.

Possiamo notare in questa risposta la voluta accentuazione dell’iniziativa di Dio. Lo rivela la ripetizione del pronome personale “io” che per sé non sarebbe richiesta dal punto di vista grammaticale. L’intenzione è di evidenziare che c’è un disegno di Dio su questo giovane prescelto e che Samuele non deve fare altro che rendersi disponibile perché vada a compimento.

In questo modo Samuele si trova suo malgrado a dover ripetere per la seconda volta una cerimonia di consacrazione regale che non avrebbe mai voluto fare. La prima volta perché non voleva che ci fosse un re, e ora, la seconda volta, perché il re che non voleva di fatto c’è e ora consacrare un altro che dovrà sostituirlo potrebbe diventare un serio pericolo qualora la cosa venisse allo scoperto.

Samuele obbedisce, ma nel suo cuore porta un misto di trepidazione e di reticenza. E non è il solo. Anche gli anziani di Betlemme, sorpresi per la sua venuta, gli vanno incontro e gli manifestano la loro preoccupazione. Gli chiedono: “È pacifica la tua venuta?” (1 Sam v. 4b). Gli anziani di Israele sono a conoscenza della rottura che è avvenuta tra lui e il re e questa visita a Betlemme del giudice di Israele fatta senza alcun preavviso suscita in loro qualche apprensione.

Samuele però li rassicura: “È pacifica. Sono venuto per sacrificare al Signore” (1 Sam v. 5) e li invita a partecipare al rito. Con loro, invita pure Iesse e i suoi figli. Ma mentre è in casa di Iesse per formalizzare l’invito procede all’attuazione di quanto il Signore gli ha comandato. Ma di questo riferiremo la prossima settimana.

Don Luigi Pedrini

7 Maggio 2017

Carissimi Parrocchiani,

concludevo la settimana scorsa affermando che è importante leggere la Scrittura con spirito di discernimento: una cosa è il messaggio che vuole trasmettere, altro il linguaggio di cui si serve che è segnato dalla cultura del tempo e sconta sempre il limite proprio di ogni strumento umano.

Davanti a questa osservazione forse a noi viene da obiettare: Come è possibile? Non abbiamo noi a che fare con la Parola di Dio? Come tale, non va presa alla lettera?

In realtà, seguire questa strada è ingenuo perché non tiene conto che Dio si rivela servendosi di mezzi umani, in questo caso delle nostre parole. Quantunque contengano il messaggio di Dio, restano tuttavia mezzi limitati e fragili.

Si può dire che per il linguaggio della Bibbia vale quello che san Paolo dice del cristiano che nella sua fragile umanità porta in sé la presenza di Dio grazie al dono dello Spirito Santo. Assomiglia a un vaso di creta che contiene in sé un tesoro molto prezioso.

La Scrittura è questo vaso di creta nel quale Dio ha riversato il tesoro della Rivelazione. Per noi si tratta di non fermarsi all’esterno, alla scorza, ma di saper andare oltre e cogliere grazie a questo umile strumento umano l’autentico volto di Dio.

Ritornando alle affermazioni ‘problematiche’ del libro di Giosuè che sembrano offrire un volto guerresco di Dio è estremamente importante non fermarsi al linguaggio umano e discernere in quel linguaggio la verità che Dio vuole offrire di se stesso.

Senza questo lavoro di discernimento si può arrivare, a partire da queste affermazioni, a teorizzare la legittimità di ‘guerre sante’, guerre che vengono intraprese in nome di Dio.

Ma questo sarebbe frutto di una lettura fuorviante dei testi biblici. Come scrive Rossi De Gasperis: “Chi ancora oggi, in buona fede pensa di mettere la propria violenza sotto il nome di Dio, sia egli un israeliano, un cristiano o un islamico, forse fa ancora sincere opere di fede, ma è fermo a quell’intelligenza e quell’esegesi primitiva, semplicistica e fondamentalistica, della storia umana, che ispira ed è ispirata dal libro di Giosué.”

Non dobbiamo, poi, dimenticare che anche la Scrittura, pur essendo la via maestra che Dio ci ha donato per rivelare il suo volto, non toglie il velo sul mistero di Dio. Infatti, per quanto ci sia concesso di comprendere chi è Dio non lo comprenderemo mai abbastanza al punto da eliminare il mistero: il vero Dio è sempre al di là dei nostri concetti umani.

Giustamente annota ancora Rossi de Gasperis: “Un lungo cammino ci è necessario per comprendere che Dio non semplicemente un ‘non violento’, ma che la sua violenza non è come la nostra. È la violenza della sua unicità che lo rende instancabilmente fedele, della sua benedizione e dell’amore, del bene da diffondere, da restaurare, da far trionfare con i mezzi del perdono, della riconciliazione e della pace” (p. 130).

Sono perfettamente in linea con queste considerazioni quanto diceva nei giorni scorsi Papa Francesco nell’omelia tenuta il 29 aprile in occasione della sua visita apostolica in Egitto. Ricordando che la “la fede vera è quella che ci rende più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani” spiegava che “l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui!”.

Don Luigi Pedrini

30 Aprile 2017

Carissimi Parrocchiani,

dopo la pausa dovuta alla Pasqua ritorniamo sulla vicenda dell’insediamento nella Terra Promessa del popolo di Israele.

Ormai non c’è molto da aggiungere a quello che si è detto. È importante, tuttavia, prima di chiudere questo primo spezzone della nostra narrazione introduttiva alla vicenda del re Davide offrire un chiarimento fondamentale.

Il chiarimento riguarda precisamente alcuni passaggi che si trovano specialmente nel libro di Giosuè e che sembrano dare un’immagine ‘bellica’ di Dio, in sostanza un Dio guerriero che si schiera a favore degli Israeliti e sbaraglia con una ‘guerra santa’ i suoi nemici.

Sembra andare in questa direzione anche un passaggio contenuto nel libro del Siracide che  volendo celebrare la figura di Giosué per le imprese compiute afferma che egli “guidava le guerre del Signore”. Chiaramente siamo di fronte a un’affermazione che sorprende e che può prestarsi a interpretazioni distorte: infatti, potrebbe indurre a pensare che le guerre non sono opera degli uomini, ma del Signore.

Per spiegare il senso di affermazioni come questa che sembrano attribuire a Dio le azioni belliche degli Israeliti due considerazioni possono aiutarci a dare una risposta.

In primo luogo, va tenuto presente il genere letterario del libro di Giosuè e, quindi, la finalità che persegue. Il suo intento è di celebrare la conquista della terra come un’impresa epica. Per questo riferisce la progressiva penetrazione di Israele nella Terra Promessa con una certa enfasi dando l’impressione che si è trattato di un avanzamento trionfale a scapito dei suoi nemici. Le cose, però, come abbiamo avuto modo di far notare non sono andate realmente così. La conquista della Terra Promessa deve essere stata meno violenta e totalitaria di come viene presentata dal libro di Giosuè. Sta di fatto che dopo la “conquista” constatiamo che Israele non ha fatto il vuoto attorno a sé; al contrario, noi assistiamo a una convivenza tra il popolo di Israele e gli abitanti di Canaan: il dialogo culturale e religioso che si avvia tra le due popolazioni segnerà la vita di entrambe.

In secondo luogo occorre distinguere nella Parola di Dio il messaggio che realmente vuole trasmettere dal linguaggio che adotta. Nel caso specifico, quando la Scrittura riconduce a Dio il merito della vittoria conseguita vuole dire semplicemente che il male, qui impersonato dai nemici di Israele, così come tutto ciò che si oppone ai disegni di Dio, a un certo punto crolla su se stesso come le mura di Gerico, “si autocondanna e non giunge mai a concludere un processo storico. Il suo ciclo rimane fatalmente incompiuto, si ferma a tre tempi e mezzo su sette, a 42 mesi, a 1260 giorni, ecc. come insegnano i numeri simbolici del libro di Daniele e dell’Apocalisse” (Rossi De Gasperis, op. cit., pp.127-128).

Accostarsi alla Scrittura con spirito di discernimento è importante: solo così si accoglie l’autentica rivelazione che Dio offre di sé e si evita il rischio di sovrapporre sul volto autentico di Dio immagini che sono il frutto o della nostra personale esperienza di fede o della cultura nella quale siamo immersi. Proprio questo sforzo di discernimento permette di estirpare in radice ogni pericolo di fondamentalismo.

Il discorso è importante e delicato. Vi ritorneremo per concludere la prossima settimana.

Don Luigi Pedrini

23 Aprile 2017

Carissimi Parrocchiani,

in questa domenica, II dopo Pasqua, tradizionalmente nota come domenica in Albis, celebriamo anche la festa della Divina Misericordia. È stata istituita ufficialmente da Giovanni Paolo II nel 1992 accogliendo quanto Gesù stesso, secondo le visioni avute da suor Faustina Kowalska, aveva richiesto. Questa la testimonianza della santa annotata nel suo famoso Diario nel 1931: “Io desidero che vi sia una festa della Misericordia. Voglio che l’immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia”.

Legata a questa festa c’è la preghiera che in questi anni si è rapidamente diffusa nel popolo cristiano: è la Coroncina della Divina Misericordia. È stata dettata da Gesù in visione santa Faustina nell’anno 1935. In questa preghiera si offre a Dio Padre “il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità, di nostro Signore Gesù Cristo” e ci si unisce al suo sacrificio sulla Croce per chiedere la salvezza del mondo intero.

Gesù dopo aver raccomandato e Suor Faustina: “Figlia mia esorta le anime a recitare la coroncina che ti ho dato” e ha promesso a quanti la reciteranno che sarà loro concesso tutto ciò che chiederanno (cfr 508) se è conforme alla sua volontà (cfr 568).

Inoltre, chiede ai sacerdoti di raccomandare la coroncina “ai peccatori come ultima tavola di salvezza” con questa promessa: “Se anche si trattasse del peccatore più incallito se recita questa coroncina una volta sola, otterrà la grazia della mia Misericordia”.

Riporto qui come va fatta questa preghiera.

La Coroncina inizia con le parole Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen e facendo il segno della croce. 
Fa seguito la recita del Padre nostro, quindi dell’Ave Maria e infine del Credo.
Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.
Quindi si procede così:
- Sui grani del Padre Nostro si dice: Eterno Padre, io Ti offro il Corpo e il Sangue, l'Anima e la Divinità del Tuo dilettissimo Figlio, Nostro Signore Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero.
- Sui grani dell'Ave Maria si dice: Per la Sua dolorosa Passione, abbi misericordia di noi e del mondo intero.
Alla fine di tutta la Corona si dice per tre volte questa invocazione: Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi e del mondo intero.
La preghiera termina con quest’ultima invocazione: O Sangue e Acqua, che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di misericordia per noi, confido in Te. Si conclude con il segno della Croce: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

9 Aprile 2017

Carissimi Parrocchiani,

con la celebrazione della Domenica delle Palme entriamo nella Settimana Santa che ha il suo vertice nella celebrazione del Triduo pasquale in cui rivivremo il mistero della passione e risurrezione del Signore Gesù. In questa Domenica contempliamo Gesù che entra deliberatamente nella città che sta tramando contro di Lui per farlo morire.

Nel Giovedì santo contempleremo Gesù che ci dona durante l’ultima cena l’Eucaristia il sacramento con il quale Egli ha scelto di rimanere per sempre con noi e si lascia incontrare come Colui che dona la sua vita per noi. Nel Venerdì santo insieme a Maria e all’apostolo Giovanni contempleremo e adoreremo la croce manifestazione suprema del suo amore per noi. Nel Sabato santo sosteremo in preghiera accanto al sepolcro per pregustare nel grande silenzio che caratterizza quella giornata la vita nuova del risorto che sta germogliando. Nella notte di Pasqua proclameremo con l’alleluia la risurrezione di Gesù, vittoria sulla morte e fondamento della nostra speranza.

La confessione alla quale siamo invitati ad accostarci in questi giorni in preparazione alla Pasqua ci permetterà di liberare il nostro cuore da ogni resistenza e opacità per lasciarci pienamente illuminare dalla luce di Cristo.

A tutti il mio augurio di vivere con disponibilità e con fede questi giorni di grazia!

Don Luigi Pedrini

2 Aprile 2017

Carissimi Parrocchiani,

nella conclusione del foglio settimanale di due settimane fa scrivevo che Dio realizza il suo disegno di salvezza in mezzo all’umanità non costruendo un’altra storia accanto a quella ‘profana’, ma inserendosi nella trama degli avvenimenti e facendo in modo che essi, nonostante i loro limiti e le loro contraddizioni, concorrano a raggiungere lo scopo di salvezza che Gli sta a cuore.

Dio non vuole il male e, tuttavia, anche nelle situazioni di male che si creano nel mondo, Egli è capace di operare così che l’ultima parola non sia il male che distrugge, ma il bene che edifica. Scrive in proposito Rossi de Gasperis: “Dio è capace di far passare i suoi disegni divini attraverso tutti i disordini e tutte le guerre, giuste o ingiuste, suscitate dalle libertà umane, con le loro passioni tumultuose, le loro paure e le loro efferate crudeltà, comprese quelle di Giaele e di… Hitler, di Stalin o del terrorismo islamico” (o.c., p. 126).

Anche se allo sguardo immediato gli avvenimenti della storia appaiono come il risultato delle scelte dei popoli che agiscono attraverso i loro accordi, in base alle loro legislazioni, tuttavia – osserva ancora Rossi de Gasperis – “Il Signore sa fare il suo gioco santo dentro i giochi degli uomini e delle donne della storia” (Ibidem). Sono affermazioni che possono sorprenderci. E, tuttavia la conferma che colgono realmente nel segno viene dalla Scrittura.

Pensiamo anche solo alla Passione di Gesù. In questa vicenda drammatica che ha come esito finale la condanna e la morte di croce, noi vediamo chiaramente il compenetrarsi della storia di Dio nella storia degli uomini.

Così, ad esempio, i passi che condurranno all’arresto di Gesù muovono dalla decisione di Giuda di tradirlo e di consegnarlo per un pugno di denari ai suoi nemici. In realtà, Gesù più che uomo ‘consegnato’ è Colui che liberamente ‘si consegna’ ai suoi accusatori. Le predizioni del destino che lo attende a Gerusalemme, il suo incamminarsi volontario verso la Città santa, lo svelamento a Giuda stesso di quanto sta per fare, rivelano che tutto avviene secondo un disegno che va ben oltre le meschinerie umane.

Pensiamo all’Ultima Cena, una cena d’addio, drammaticamente segnata dallo svelamento del tradimento di Giuda, del rinnegamento di Pietro, dell’abbandono da parte dei discepoli. Sarebbe una cena da cancellare dalla memoria avvolta com’è da tante ombre funeste; eppure, proprio in quella cena risplende al massimo la luce di un amore che si dona, senza misura, “fino alla fine” (Gv 13,1). Infatti, Gesù offrendo il pane ai discepoli e invitandoli a bere il calice interpreta quei gesti di offerta come anticipazioni simboliche del dono della sua vita sulla croce. Con le parole “Fate questo in memoria di me”, invita i discepoli a ripetere quei gesti in perenne memoria del suo sacrificarsi per noi.

Ecco soltanto alcuni esempi di una situazione di male e di tenebre che viene a brillare di una luce imprevista fino a trasformarla in offerta suprema di bene.

Proprio su questo singolare modo di agire di Dio si fonda la speranza cristiana che non si scoraggia di fronte al male che c’è nel mondo e continua a credere che la Provvidenza – come affermava Giovanni XXIII – fa sì che “tutto, anche le umane avversità, concorrano al maggior bene della Chiesa (Discorso tenuto in occasione della solenne apertura del Concilio, in EV 1, 42*).

 

Don Luigi Pedrini