17 Aprile 2016

Carissimi Parrocchiani,

abbiamo contemplato Mosè quale uomo che intercede per il suo popolo presso Dio arrivando fino alla supplica nei momenti più drammatici e sofferti e che con la preghiera entra in un rapporto di profonda intimità con Dio. Abbiamo anche potuto constatare quanto Mosè si sentisse coinvolto nel destino del suo popolo: davvero, gli israeliti erano ormai diventati parte della sua vita.

C’è un racconto rabbinico estremamente eloquente al riguardo che mette bene in luce fin dove Mosè fosse disposto ad osare nei confronti di Dio pur di prendere le difese del suo popolo.

Solo litigando per il suo popolo e litigando anche contro Dio, Mosè divenne uomo di Dio. Svolgeva infatti due ruoli veramente diffìcili: rappresentava Dio presso Israele e Israele presso Dio. Bastava che gli angeli si pronunciassero contro Israele, e accadeva spesso, perché Mosè li facesse tacere. Quando Dio decise di fare dono ad Israele della Legge, gli angeli gli si opposero e Mosè replicò: “Ma allora chi la osserverà, voi? Solo gli uomini possono accettare la legge e vivere secondo i suoi dettami!”. E quando il popolo toccò il fondo dell’abisso, ballando attorno al vitello d’oro, Mosè trovò ancora il modo di difenderlo, “è colpa sua o tua, o Signore? Israele ha vissuto così a lungo in esilio fra gli adoratori di idoli che ne è stato avvelenato. È colpa sua se non riesce a dimenticare così facilmente”.. . Di fronte alla minaccia divina pone un ultimatum: “O perdoni tutto, o cancelli il mio nome dal tuo libro”. E quando Dio gli disse. “Il tuo popolo ha peccato”, Mosè replicò: “Quando Israele osserva la tua Legge è il tuo popolo e quando la trasgredisce sarebbe il mio? (Cfr. C.M. Martini, Vita di Mosè, p. 85).

In questa maniera Mosè si è guadagnato la fiducia degli israeliti che lo ricorderanno sempre come il pastore per eccellenza.

Tutto questo ricorda a noi la straordinaria forza della preghiera che, anche quando è fatta nel nascondimento e nel segreto, è capace di creare una profonda sintonia tra il pastore e le sue pecore.

È significativa in proposito questa testimonianza che Giovanni Paolo II dava di sé nel contesto di una considerazione più ampia sulla preghiera del Vescovo, chiamato ad essere pastore per la comunità a lui affidata. Scrive:

L’interesse per l’altro comincia dalla preghiera del vescovo, dal suo colloquio con Cristo che gli affida “i suoi”. La preghiera lo prepara a questi incontri con gli altri. Sono incontri in cui, se l’animo è aperto, è possibile conoscersi e comprendersi a vicenda anche quando c’è poco tempo. Io, semplicemente, prego per tutti ogni giorno. Appena incontro una persona, prego per lei, e ciò facilita sempre i contatti. Mi è difficile spiegare come gli altri lo percepiscano, bisognerebbe chiederlo a loro. (In Alzatevi, andiamo, pp. 56-57).

La preghiera ha dunque questa capacità misteriosa di gettare ponti con le persone e di disporre i cuori verso un naturale rapporto di familiarità. Forse tutto questo ha qualcosa da dire anche a noi, alla nostra preghiera…

Don Luigi Pedrini