02 Agosto 2015

Carissimi Parrocchiani,

continuando il nostro cammino in compagnia di Mosè giungiamo all’episodio centrale dell’Esodo: il passaggio del Mar Rosso. La liturgia della veglia pasquale lo propone come il testo fondamentale della celebrazione della Pasqua.

A rigor di termini dobbiamo dire che propriamente il racconto della Pasqua si trova nel capitolo 12 del libro dell’Esodo dove si parla della cena pasquale consumata nelle case degli israeliti. Ma la tradizione cristiana ha allargato il significato del termine pasquale fino a comprendere il passaggio del Mar Rosso. Anzi, questo episodio si è imposto fino a diventare il centro di tutti gli eventi legati alla Pasqua ebraica.

La centralità di questo avvenimento è pure messa in risalto dalla menzione che ne fa il solenne inno dell’Exultet all’inizio della veglia pasquale quando proclama : Questa è la notte in cui i figli di Israele hanno attraversato il Mare Rosso a piedi asciutti.

Nel racconto di questo avvenimento possiamo distinguere tre parti: i vv. 5-10 che possiamo intitolare – facendo nostra la proposta del Card. Martini – “la notte della grande paura”; i vv 11-15 che riferiscono come Mosè ha reagito in questa notte; i vv. 16ss che raccontano il passaggio del Mar Rosso.

Nei vv. 5-10 è ben descritta la situazione drammatica che vivono gli Israeliti subito dopo l’uscita dall’Egitto: l’impressione è di trovarsi in un vicolo cieco. Alle loro spalle c’è il faraone che, pentitosi di aver loro permesso di lasciare l’Egitto, li sta inseguendo con il suo esercito; davanti hanno l’ostacolo insormontabile del Mar Rosso. In questa situazione in cui tutto sembra perduto sono presi dall’angoscia: ebbero grande paura e gridarono al Signore (Es 12,10).

Noi che leggiamo il racconto non possiamo non rimanere stupiti di quanto va accadendo: Dio che ha agito con mano forte contro l’Egitto, tanto da piegare anche il cuore indurito del faraone ora sembra aver abbandonato il suo popolo.

In realtà, leggendo attentamente la Scrittura, scopriamo che questo comportamento è un po’ una costante dell’agire di Dio. Pensiamo ad Abramo che dopo aver accolto l’invito del Signore a lasciare la propria terra, si mette in cammino, entra nella Terra di Canaan, incoraggiato dalla promessa di un futuro fecondo per lui e per tutta la sua famiglia e, tuttavia, è costretto a lasciarla molto presto, perché in quella terra c’è la carestia: proprio nella terra in cui Dio l’ha inviato e che dovrà diventare la ‘sua’ terra si fa la fame. Che stranezza!… Ma pensiamo anche a Maria che dopo aver dato la disponibilità a Dio che le sta chiedendo di diventare la madre del Messia, va incontro all’incomprensione di Giuseppe, al disagio di una nascita in totale povertà, alla prova di vedersi perseguitata e di dover fuggire in Egitto per salvare la vita del bambino. Davvero è strano l’agire di Dio.

Forse la spiegazione più plausibile al riguardo è questa: Dio volutamente priva chi si affida a lui di ogni sicurezza umana perché sia evidente che è grazia non solo la chiamata, ma anche il modo con cui essa viene realizzandosi. Tutto va a compimento, ma non anzitutto per le nostre forze, ma per la fedeltà di Dio verso di noi. Israele sta muovendo, per ora, solo i primi passi in questa direzione.

Don Luigi Pedrini