05 Luglio 2015

Carissimi Parrocchiani,

il racconto delle dieci piaghe inflitte all’Egitto al fine di convincere il faraone a lasciar partire Israele e permettergli di tornare in patria, può suscitare in noi qualche perplessità. Infatti, sembra rivelare un volto di Dio che contrasta con l’immagine del Dio misericordioso al quale continuamente Gesù ci rimanda: qui vediamo non un Dio che perdona, ma una Dio che ‘punisce’.

È necessario allora intendere bene il significato delle dieci piaghe: è legittimo parlarne in termini di punizioni da parte di Dio?

Al riguardo, dobbiamo constatare che la categoria di punizione in rapporto a Dio non è estranea alla Scrittura. Questa categoria fa la sua comparsa già all’inizio del libro della Genesi, quando Dio interviene per ‘punire’ l’uomo e la donna a motivo della loro disobbedienza.

In realtà ciò che la Scrittura presenta in termini di castigo è il male che l’uomo fa a se stesso nel momento in cui opera in modo contrario ai dettami di Dio. Nel nostro caso, le piaghe d’Egitto sono il male che il faraone e il popolo egiziano infliggono a se stessi rifiutandosi di accogliere la parola liberatrice di Dio e, di conseguenza, restando prigionieri dei propri condizionamenti.

Sono particolarmente illuminanti in proposito due considerazione del Card. Martini. Egli, anzitutto, fa notare che

 

Tutte le volte che non abbiamo ascoltato la Parola del Signore, che ci voleva più veri, più autentici, più rispondenti all’amore, più pronti ad offrire un servizio che a esigerlo, abbiamo sentito in noi dei segni di squilibrio interiore; esso sono la manifestazione delle piccole schiavitù e dei condizionamenti a cui cediamo. Sono tutte quelle forme di malessere che ci rodono interiormente: forme di paura nell’affrontare alcune situazioni, certe forme penose e prolungate di stanchezza, certe forme di malumore, certe incapacità a pregare…. Insomma, il non saper essere felici. Tutte le volte che non c’è piena felicità, vuol dire che c’è qualcosa, qualche condizionamento che ci frena… (C.M. Martini, Vita di Mosè, Borla, Roma 19845, p. 56).

 In secondo luogo, egli afferma che è possibile parlare di un ‘castigo fondamentale’ al quale si possono ricondurre, poi, tutti gli altri. Tale castigo è, a suo parere, l’incapacità di amare”, cioè “l’incapacità di realizzare effettivamente l’amore di Dio, soprattutto quello del prossimo”. Questo perché

 L’amore di Dio può anche essere facile; difficile è quello del prossimo, che consiste nel rispondere alle vere situazioni di disagio del mio fratello, anche là dove il mio fratello non merita il mio aiuto, anzi lo demerita. Se noi non siamo capaci di affrontare queste situazioni, ecco che ne consegue scontentezza, disagio e disgusto, che coinvolgono le persone, le comunità, i gruppi, le istituzioni: è il castigo dell’Egitto (Idem, pp. 56-57).

 

Don Luigi Pedrini