Archivi categoria: Messaggio Settimanale

26 Marzo 2017

Carissimi Parrocchiani,

ricorre a metà del nostro cammino quaresimale la solennità dell’Annunciazione che segna l’inizio della venuta di Gesù in mezzo a noi grazie a Maria che si consegna in piena disponibilità al disegno di Dio: “Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua Parola”, così risponde all’angelo che le annunzia la nascita da lei del Messia.

Maria sta davanti a noi come figura esemplare del credente che apre interamente il proprio cuore a Dio.

È il dono che vuol fare anche a noi il tempo quaresimale che stiamo vivendo. Per questo ci affidiamo all’intercessione di Maria con questa bella preghiera composta da san Luigi Grignion de Montfort.

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La luce della tua fede, Maria,
diradi le tenebre del mio spirito.
La tua umiltà contesti il mio orgoglio.
La tua capacità di contemplazione
Trattenga i miseri voli della mia fantasia.
La tua visione di Dio
Mi ricordi sempre la tua presenza.
L’incendio della tua carità
Dilati e infiammi il mio cuore.
Le tue virtù si sostituiscano ai miei peccati.
Lo splendore della tua grazia
Mi accompagni all’incontro con Dio.    Amen

19 Marzo 2017

Carissimi Parrocchiani,

sostiamo ancora sugli avvenimenti relativi all’insediamento nella Terra Promessa che ci sono presentati dall’Antico Testamento sia nella prospettiva del ‘dono’, sia nella prospettiva della ‘conquista’, allo scopo di raccogliere qualche insegnamento.

Un primo dato significativo lo possiamo raccogliere dal fatto che gli Israeliti si stabiliscono in una terra abitata da altre popolazioni. Questi abitanti sul momento danno loro del filo da torcere, ma col tempo impareranno a convivere con loro. In questa convivenza si può vedere l’apertura universalistica insita nella vocazione di Israele. Il dono della elezione divina che lo distingue dagli altri popoli come tale rimane e, tuttavia, non va inteso in modo esclusivo, ma inclusivo degli altri popoli. Secondo la promessa fatta ad Abramo Dio vuole proprio attraverso Israele estendere a tutti i popoli la sua benedizione: “In te saranno benedetti tutti i popoli della terra” (Gen 12,3). Dunque, il disegno di salvezza che Dio porta avanti nella storia passa attraverso Israele, ma mira ad abbracciare tutta l’umanità senza escludere nessuno.

Un secondo dato significativo è costituito dal forte legame che il destino di Israele in quanto popolo eletto ha con il possesso della terra. Non si può capire la storia di questo popolo se non si tiene conto di questa relazione indissolubile con la terra. La promessa che Dio ha fatto a Israele di una terra è parte degli elementi costitutivi della sua identità di popolo di Dio. Questa promessa non è venuta meno nel tempo; anche dopo la venuta di Gesù, Israele conserva il suo diritto ad avere una terra. Tuttavia la Scrittura insegna – come fa ben notare Rossi de Gasperis – che questo dono viene accordato agli Israeliti “nelle modalità e nei tempi nascosti nelle pieghe misteriose della provvidenza storica del Signore dell’alleanza” (op. cit., p. 125). La sua concessione spetta solo a Dio che opera “come vuole, quando vuole e nella misura e nella proporzione che Egli vuole” (p. 126).

Un terzo dato significativo vogliamo raccogliere da questi racconti: il ‘dono-conquista’ della terra si realizza con la valorizzazione da parte di Dio di mezzi umani molto poveri. La strategia divina – come mette bene in luce ad esempio la vicenda di Gedeone – ha la caratteristica della piccolezza, dell’umiltà, dell’obbedienza. Sarà questa una costante dell’agire di Dio. Dio non opera in modo miracolistico, solitario; chiede sempre la collaborazione dell’uomo e si serve di mezzi umani: si tratta però di mezzi poveri. Proprio la sproporzione tra ciò che sono questi mezzi e il risultato conseguito mette bene in risalto la Provvidenza fedele e onnipotente con cui Dio opera nella storia.

Rimane ancora un insegnamento che mi sembra particolarmente significativo: il fatto che Dio realizzi il suo disegno di salvezza non costruendo una storia parallela a quella che si studia sui libri di storia, ma inserendosi nella trama della storia umana e facendo sì che i singoli avvenimenti, nonostante i loro limiti e le loro contraddizioni, concorrano a raggiungere lo scopo di salvezza che Gli sta a cuore. Ma di questo parleremo la prossima volta.

Don Luigi Pedrini

12 Marzo 2017

Carissimi Parrocchiani.

lo strano modo di riportare vittoria che abbiamo visto la settimana scorsa non lascia dubbi sul fatto che è stato Dio a mettere nelle mani degli Israeliti l’accampamento di Madian.

Quella notte illuminata dalle trecento fiaccole rimarrà un perenne ricordo nella memoria storica di Israele. Il profeta Isaia, volendo aiutare gli Israeliti a credere che Dio è sempre capace di far brillare la sua luce anche nelle valli oscure che si incontrano e che, di lì a poco, li avrebbe fatti uscire dalle tenebre dell’esilio di Babilonia e li avrebbe ricondotti in patria, ricorda espressamente, a distanza di molti anni, la vittoria riportata su Madian.

In passato umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti. / Il popolo che camminava nelle tenebre / ha visto una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa /  una luce rifulse. / 2Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. / Gioiscono davanti a te / come si gioisce quando si miete /e come si esulta quando si divide la preda. / 3Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, / la sbarra sulle sue spalle, / e il bastone del suo aguzzino, / come nel giorno di Madian.

La liturgia valorizza questo testo e lo fa risuonare solennemente nelle nostre orecchie ogni anno nella Messa della Notte di Natale. L’intenzione è chiara: invitare noi che ascoltiamo a scorgere nella luce che in quella notte è brillata dalle trecento fiaccole una prefigurazione della vera luce sorta nel mondo con la venuta di Cristo.

Stabilendo questo legame tra la vittoria di Madian e la nascita del Messia la liturgia si allinea con l’evangelista Matteo che raccontando gli inizi della missione di Gesù a Cafarnao, nel territorio di Zabulon e Neftali, cita espressamente questo testo indicando Gesù come Colui che dà compimento alle parole del profeta. Con la sua venuta in mezzo a noi sta sorgendo la grande luce preannunciata dal profeta Isaia che viene a sconfiggere le tenebre e l’ombra di morte in cui era immerso il popolo di quelle regioni.

Anche l’evangelista Luca, senza citare la profezia di Isaia, presenta la nascita di Gesù come un mistero di luce che entra nella notte del mondo. Afferma, infatti, che la gloria del Signore avvolse di luce (Lc 2,9) i pastori che in quella regione stavano vegliando sul loro gregge. Nella stessa prospettiva san Giovanni nel Prologo presenta Gesù come la luce vera che viene nel mondo e che illumina ogni uomo (Gv 1,9).

Come si vede la comprensione di Gesù Cristo come ‘luce del mondo’ costituisce nei Vangeli una chiave molto importante per interpretare il suo mistero.

E, tuttavia, sono pochi a sapere che tutto è cominciato con le trecento fiaccole dei prodi di Gedeone, tra i monti di Gelboe e il monte More, presso la sorgente di Charod.

Don Luigi Pedrini

 

05 Marzo 2017

Carissimi Parrocchiani.

ricordavo la scorsa settimana la richiesta sorprendente che Dio rivolge a Gedeone di ridurre drasticamente il suo esercito. La riduzione avviene in due tempi: prima viene concesso agli uomini che preferiscono non combattere di poter tornare alle loro case: in questo modo il loro numero da trentaduemila scende a diecimila. Ma Dio ritiene che il loro numero è ancora eccessivo. Pertanto chiede a Gedeone di trattenere solo quegli uomini che, immergendosi nel Giordano, avessero bevuto l’acqua portandosela alla bocca con la mano; quelli invece che per bere si fossero inginocchiati nell’acqua sarebbero stati scartati. Così il numero si riduce a trecento uomini.

Il significato di queste disposizioni di Dio è chiaro: Israele deve sapere che la vittoria che riporterà sui Madianiti è opera di Dio. Che non accada che gli Israeliti abbiano a vantarsi davanti a Dio e a dire: “la mia mano mi ha salvato” (Gdc 7,2).

Dunque è Dio che fa e, tuttavia, Egli vuole servirsi di un pugno di uomini e di un uomo fragile come Gedeone per dare compimento al suo disegno. La grandezza di Gedeone sta proprio nell’umile riconoscimento della sua pochezza unita alla fiducia con cui si affida da Dio per cooperare alla sua opera di salvezza. Non è facile tenere questo equilibrio. Infatti.

Se vuoi cooperare in modo tale che non sia più necessario che il Signore operi, cadi nel peccato dell’arroganza e dell’empietà. Se non vuoi cooperare affatto, perché intanto già opera il signore, cadi nel peccato del rifiuto superbo e orgoglioso. Tu devi cooperare come uno strumento nella mano della potenza del tuo Dio, e non della tua. La povertà e l’umiltà ti assicurano di trovarti nella sua mano potente, e questo ti deve bastare (Rossi De Gasperis, op. cit., p. 121)

Come sono andate dunque le cose? Il testo racconta che la vittoria contro l’esercito di Madian è ottenuta nel cuore della notte mentre si trova accampato nella pianura che si distende tra il monte Moré e i monti di Gelboe presso la sorgente di Charod.

I trecento uomini di Gedeone circondano l’accampamento disponendosi in tre schiere e restando ognuno fermo al suo posto. Ciascuno tiene nella mano sinistra una brocca vuota da spezzare a tempo opportuno e far così apparire la torcia accesa che vi è contenuta, mentre nella mano destra tiene il corno da suonare. Al segnale di Gedeone, tutti si mettono a gridare: “La spada per il Signore e per Gedeone”; quindi, spezzano la brocca lasciando apparire la fiaccola accesa e si mettono a suonare il corno. Ed ecco cosa avviene:

Ognuno di loro rimase al suo posto, attorno all’accampamento: tutto l’accampamento si mise a correre, a gridare, a fuggire. Mentre quelli suonavano i trecento corni, il Signore fece volgere la spada di ciascuno contro il compagno, per tutto l’accampamento. L’esercito fuggì fino a Bet-Sitta, verso Sererà, fino alla riva di Abel-Mecolà, presso Tabbat. Gli Israeliti si radunarono da Nèftali, da Aser e da tutto Manasse e inseguirono i Madianiti. (Gdc 7,21-23)

 Don Luigi Pedrini

26 Febbraio 2017

Carissimi Parrocchiani,

dopo aver sottolineato fino ad ora la diversa prospettiva che anima il libro di Giosuè e quello dei Giudici e, quindi, dopo aver evidenziato anche ciò che li distanzia; ora, voglio invece sottolineare ciò che hanno in comune e li avvicina.

È vero che l’accento nel libro di Giosuè va sul ‘dono’: la Terra Promessa diventa disponibile per gli Israeliti in forza di un ‘dono dall’alto’. E, tuttavia, anche in questo orizzonte di ‘dono’ gli Israeliti non sono stati semplicemente a guardare. In diverse occasioni hanno imbracciato le armi per imporsi su quanti si opponevano loro. Dunque, ‘dono’, ma anche ‘conquista’.

Questa unità di ‘dono’ e ‘conquista’ si ritrova anche nel libro dei Giudici. È vero che qui è dominante la ‘conquista’ realizzata a poco a poco grazie alla guida strategica dei diversi capi – i Giudici – che Dio ha suscitato tra loro e, tuttavia, nel libro è ben presente anche la prospettiva del ‘dono’. Ne è prova tangibile il fatto che l’imporsi degli Israeliti sui nemici avviene con armi e con modalità completamente inadeguate e sproporzionate rispetto alla vittoria conseguita.

Le testimonianze a questo proposito sono molteplici: pensiamo alla vittoria riportata sul re Iabin e su Sisara, il capo del suo esercito, grazie al coraggio di due donne: Debora, la profetessa e Giaele. Oppure pensiamo a Sansone, il famoso eroe dotato di una forza straordinaria, che riesce con le sue imprese a liberare gli Israeliti dal giogo dei Filistei.

Ma l’esempio più mirabile è offerto dalla vicenda di Gedeone. È già motivo di sorpresa il fatto che proprio un uomo come lui venga scelto da Dio per essere giudice in mezzo al suo popolo. Gedeone, infatti, era il più piccolo della sua famiglia e la sua famiglia era la più povera della tribù di Manasse (cfr. Gdc 6,15). Eppure, l’angelo che gli porta l’annuncio della elezione di Dio, gli appare e gli dice: “Il Signore è con te, uomo forte e valoroso” (Gdc 6,12). Queste parole, però, non incontrano sul momento l’entusiasmo di Gedeone che anzi obietta dicendo: “Perdona mio signore: ma se il Signore è con noi, perché ci è capitato tutto questo?Dove sono tutti i suoi prodigi che i nostri padri ci hanno narrato, dicendo: «Il Signore non ci ha fatto forse  salire dall’Egitto?». Ma ora il Signore ci ha abbandonato e ci ha consegnato nelle mani di Madian” (Gdc 6,13-14). Il Signore però insiste nella sua richiesta: “Va con questa tua forza e salva Israele dalla mano di Madian; non ti mando forse io?… Io sarò con te” (Gdc 6,14.16).

Finalmente Gedeone accetta e sulla parola del Signore comincia a muovere i primi passi per affrontare e vincere i Madianiti. Convoca nella pianura di Yizreel tutti gli Israeliti che sono disposti a combattere e al suo appello risponde una moltitudine di trentaduemila uomini: appartenevano alla tribù di Manasse, ma anche alle tribù settentrionali di Aser, Zabulon e Neftali. Sono tutti pronti per affrontare i madianiti che – dice il libro – “arrivavano numerosi come le cavallette […] e venivano nella terra per devastarla” (Gdc 6,5).

Dio però davanti a questa moltitudine chiede a Gedeone di ridurre drasticamente il numero dei combattenti. Li ridurrà a trecento. Ma vedremo la prossima volta.

 Don Luigi Pedrini

19 Febbraio 2017

Carissimi Parrocchiani,

abbiamo già avuto modo di documentare che la lettura storica dell’insediamento nella Terra Promessa da parte degli Israeliti fatta dal Libro dei Giudici è differente da quella del libro di Giosuè.

La settimana scorsa ricordavo un ulteriore elemento di diversità: mentre secondo il libro di Giosuè gli Israeliti si sono stabiliti nella Terra di Canaan tenendo fermamente le distanze dalle tradizioni delle popolazioni che vi abitavano, secondo il libro dei Giudici invece avrebbero ceduto a compromessi e talvolta sarebbero diventati persino succubi degli usi e dei costumi del luogo.

Come si spiegano due letture così diverse? Gli esegeti rispondo che i due libri sono stati scritti attingendo a due memorie storiche diverse che venivano entrambe tramandate dal popolo di Israele.

Da parte nostra, non abbiamo dal punto di vista storico elementi per prendere posizione a favore di un libro rispetto all’altro. Bisognerebbe conoscere meglio gli avvenimenti e, in particolare, la durata dell’arco di tempo che è stata necessaria agli Israeliti per inserirsi nella terra di Canaan.  Non conoscendo per certo, dobbiamo andare per ipotesi. Tra queste mi sembra degna di nota quella offerta da Rossi de Gasperis. Scrive:

Probabilmente Israele è andato formandosi nel paese molto lentamente, in tempi e con modalità differenti. Alcuni gruppetti migrarono probabilmente in Canaan proveendo dall’Egitto. Con essi altri, esistenti già nel paese, si identificarono lentamente e progressivamente sotto il nome d’“Israele”, in virtù della coscienza riflessa di un destino comune, seganto da un’elezione e da un’allenaza particolare con il Dio YHWH. Dove è stato possibile l’evoluzione dell’insediamento […] si è svolt pacificamente. Dove, invece ha incontrato difficoltà, si è imposto con conflitti armati, regolato secondo i costumi dei luoghi e del tempo (Op. cit. p. 116).

Dunque, è molto probabile che le cose siano andate così. Ma a questo punto dobbiamo anche dirci che forse la preoccupazione di chiarire la cronaca degli avvenimenti non è alla fine la cosa più importante. Come annota ancora Rossi de Gasperis, più importante per noi è recepire la lezione di vita che gli Israeliti, nella loro lettura di fede, hanno tratto da quegli avvenimenti che hanno segnato la loro storia di popolo.

Ciò che questi libri vogliono donarci è proprio questo discernimento di fede sulla storia: la speranza che li anima è che questo insegnamento possa diventare per noi che leggiamo una luce per discernere nella storia di oggi il disegno che Dio, mediante il suo Spirito, va costruendo.

 Don Luigi Pedrini

12 Febbraio 2017

Carissimi Parrocchiani,

dopo aver ascoltato il racconto del libro di Giosué circa l’insediamento degli Israeliti nella Terra Promessa, ascoltiamo ora il racconto del libro dei Giudici.

Questo libro, come già accennavo, offre un quadro molto diverso della situazione di Israele in terra di Canaan. Dopo la morte di Giosuè la conquista dei territori assegnati alle diverse tribù appare realizzata solo in parte. In effetti, di questa situazione ancora fluida, c’è qualche velata allusione anche nello stesso libro di Giosué. Ad esempio in Gs 17,12-18 si dice che i figli di Giuseppe sono costretti a disboscare le montagne per abitarvi. Il significato di questa precisazione è evidente: fa capire che gli Israeliti non possono stabilirsi in pianura perché le popolazioni del luogo si oppongono e, di conseguenza, devono riparare sulle montagne. Nella stessa linea Gs 19,40-48.

Dunque, la situazione reale è questa: le popolazioni indigene permangono e in genere abitano nella pianura; gli israeliti si insediano, ma sono confinati sulle montagne. Sono gruppi isolati, distanti tra loro, che spesso devono subire le angherie delle popolazioni del luogo meglio organizzate sotto tutti gli aspetti.

Gli Israeliti, infatti, si presentano in questo momento come un popolo disorganizzato e indifeso; non solo perché non posseggono un vero apparato militare, ma anche perché non hanno un ordinamento al proprio interno e neppure un capo di governo: “Sono in preda – scrive Rossi de Gasperis – a una continua anarchia” (p. 114) a cui si pone rimedio di tanto in tanto perché Dio suscita tra il popolo un capo carismatico, un ‘giudice’, che lo libera dall’oppressione dei nemici.

Il ritornello con cui nel libro viene presentato il giudice suscitato da Dio e per questo abilitato ad assumere la responsabilità di liberatore del popolo è “Lo Spirito di YHWH fu su di lui”. Ma a questo ritornello ne fa eco, nel libro, un altro assai meno lusinghiero: Ma quando il giudice moriva, tornavano a corrompersi più dei loro padri, seguendo altri dei per servirli e prostrarsi davanti a loro, non desistendo dalle loro pratiche e dalla loro condotta ostinata (Gdc 2,19).

Questa nota mette in luce una vistosa differenza rispetto al libro di Giosué: là si esaltava la ferma volontà degli Israeliti di prendere le distanze dalle tradizioni degli abitanti del luogo rifiutando ogni forma di compromesso; qui invece si dice più volte che gli Israeliti non solo accettano di convivere con le popolazioni indigene, ma anche che spesso si lasciano contaminare dalla loro idolatria.

Come va spiegata questa differenza? Le risposta che danno gli esegeti al riguardo sono diverse. Ma rimandiamo alla prossima settimana.

 Don Luigi Pedrini

29 Gennaio 2017

Carissimi Parrocchiani,

come già accennavo, il libro di Giosuè presenta l’insediamento degli Israeliti nella Terra promessa come frutto di una guerra-lampo: in un tempo piuttosto circoscritto, avanzando di vittoria in vittoria, si sono impadroniti della terra di Canaan e vi si sono stabiliti.

Gli avvenimenti bellici di conquista sono riferiti nei primi dodici capitoli del libro. Giosuè viene presentato come un nuovo Mosè: anch’egli può contare sulla protezione di Dio che lo ha scelto e inviato. Secondo la sua promessa, se sarà coraggioso, forte, retto nell’osservanza della legge, sperimenterà la mano forte di Dio e avrà successo in ogni impresa (Gs 1,6-9): la terra sarà insieme conquista e dono dall’Alto, come Mosè aveva chiaramente predetto (Dt 11,8-9).

Con molteplici segni Dio manifesta la sua azione salvifica a favore degli Israeliti. Così, ad esempio, il passaggio del fiume Giordano avviene miracolosamente in modo del tutto simile a quello straordinario del Mar Rosso: le acque del fiume arrestano il loro corso così che gli Israeliti attraversano all’asciutto il letto del fiume. Ugualmente la conquista di Gerico, la prima città che incontrano venendo dal deserto, una città importante, fortificata, praticamente imprendibile grazie al deserto che la circonda, avviene attraverso una sorta di celebrazione liturgica. Così la sintetizza  nel suo commento Francesco Rossi de Gasperis: “Per sei giorni, sette sacerdoti portano sette trombe di corno d’ariete davanti all’Arca di YHWH. L’avanguardia armata marcia davanti all’arca, mentre la retroguardia lo segue. Tutti procedono in silenzio al suono degli shofar e fanno un giro attorno alla città. Il settimo giorno, al sorgere dell’aurora, il giro intorno alla città viene ripetuto sette volte e Giosué ordina a tutto il popolo di lanciare il grido di guerra […] In risonanza con questo grido, le mura di Gerico crollano da sole e il popolo sale verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, la occupa e la vita allo sterminio” (Sentieri di vita, 2.1., Paoline, Milano 2006, pp. 111-112).

La conquista di Gerico non è che il primo di tutta una serie di eventi favorevoli che spianano progressivamente la strada all’avanzata degli Israeliti. In questo modo il racconto mira a mettere in risalto l’opera decisiva di Dio e a celebrare la sua Provvidenza. Chiaramente, da questo punto di vista, la Terra promessa è anzitutto una terra ‘donata’, prima che essere una terra ‘conquistata’.

Così, Giosué entra in possesso di tutto il paese: prima ‘conquista’ la parte meridionale e centrale; poi quella settentrionale; infine, le terre che stanno a est del Giordano. Questa seconda parte del libro si conclude elencando le vittorie di Israele, come pure i popoli e i re sconfitti.

La seconda parte del libro (cap. 13 – 23) parla della ripartizione del paese fra le dodici tribù in Israele. Con una solenne assemblea che si svolge a Sichem nella quale gli Israeliti rinnovano l’alleanza del Sinai e dichiarano espressamente la volontà di obbedire con impegno e serietà  alla legge di Dio si conclude il libro (Gs 24,1-28).

L’impressione fondata che rimane in chi legge il testo è che gli Israeliti sono ormai pienamente insediati nella Terra promessa, vi abitano da padroni, mentre gli altri popoli non hanno più alcuna voce in capitolo. In realtà le cose non stanno esattamente così. Ma vedremo più avanti.

Don Luigi Pedrini

22 Gennaio 2017Carissimi Parrocchiani, prima di inoltrarci sul sentiero del re Davide e utile aprire una parentesi storica per far luce su come sono andate le cose dopo la morte di Mosè. Precisamente si tratta di vedere in quale modo è avvenuto l’insediamento degli Israeliti nella Terra Promessa e come si è arrivati all’istituzione della monarchia nella quale viene in primo piano la figura del re. , Consideriamo, anzitutto, l’insediamento nella Terra Promessa. Abbiamo concluso il sentiero di Mosè riferendo che al patriarca, sul finire della sua vita, è concesso di contemplare dall’alto del monte Nebo tutta la terra che Dio, secondo la promessa fatta ad Abramo, ha destinato al popolo di Israele: la terra di Canaan che si estende dal deserto del Negheb fino alle pendici del monte Hennon, il monte da cui nasce ° ‘ ‘ ‘ ‘ ente la Terra Promessa e conclude la sua corsa sfociando : capt“‘enmp°p“p Re”“ = Gli avvenimenti relativi & C‘Zlfîflfiîllîr‘îlîré‘è’gìîaîrîlj [… .’ _. . @dn@ît&tuàgrnil … liamento degli Israeliti sono narrati da due libri dell’Antico T “®©—”© @ÈÉ’ÎGF’ÈÌWGWL’ÈG’ÈÎQÎÈÉ’MÎÈ ci Giudici. Entrambi raccontano co Én@5219 [@l $$$ È $$$ ÈÈW rsi nella Terra di Canaan; tuttavia, il modo con cui si pong mar—amm îlwnlvmtgfrolrnìmntgÎrajgal V lifferente. Nella prospettiva del li’ l è avvenuta in un tempo piuttosto breve con una sorta di guerra Davide e utile ran: 151’3101C si è imposto decisamente sulle popolazioni cananee: il libro ha i aprire una celebrativa dell’impresa compiuta da Glosue’ . , , parentesi storica , . Nella prospettiva del hbe der Urud1c1 le cose sare bero andate, invece, in modo molto diverso: l’insediamento nella Terra Promessa è avvenuto in un arco di tempo prolungato, gli Israeliti hanno fatto fatica ad avere la meglio sugli abitanti del luogo e, anzi, per un certo tempo hanno dovuto convivere con loro non senza subire angherie e umiliazioni. Il libro dei Giudici racconta, dunque, gli avvenimenti con uno sguardo più realistico. Anticipiamo fin da ora che non è conveniente domandarsi chi ha ragione e neppure di insinuare che i due libri siano in contraddizione fra loro… Si tratta di due prospettive diverse. La finalità perseguita nel narrare questi avvenimenti e diversa. È invece conveniente spendere una parola sul resoconto storico offerto da entrambi. Lo faremo cominciando dal Libro di Giosuè. Don Luigi Pedrini

Carissimi Parrocchiani,

prima di inoltrarci sul sentiero del re Davide e utile aprire una parentesi storica per far luce su come sono andate le cose dopo la morte di Mosè. Precisamente si tratta di vedere in quale modo è avvenuto l’insediamento degli Israeliti nella Terra Promessa e come si è arrivati all’istituzione della monarchia nella quale viene in primo piano la figura del re.

Consideriamo, anzitutto, l’insediamento nella Terra Promessa. Abbiamo concluso il sentiero di Mosè riferendo che al patriarca, sul finire della sua vita, è concesso di contemplare dall’alto del monte Nebo tutta la terra che Dio, secondo la promessa fatta ad Abramo, ha destinato al popolo di Israele: la terra di Canaan che si estende dal deserto del Negheb fino alle pendici del monte Hermon, il monte da cui nasce il fiume Giordano che attraversa interamente la Terra Promessa e conclude la sua corsa sfociando nel Mar Morto.

Gli avvenimenti relativi alla conquista della terra e al primo insediamento degli Israeliti sono narrati da due libri dell’Antico Testamento: il libro di Giosuè e il libro dei Giudici.

Entrambi raccontano come gli Israeliti sono arrivati a stabilirsi nella Terra di Canaan; tuttavia, il modo con cui si pongono di fronte all’intera vicenda è molto differente.

Nella prospettiva del libro di Giosuè la conquista della terra è avvenuta in un tempo piuttosto breve con una sorta di guerra-lampo grazie alla quale Israele si è imposto decisamente sulle popolazioni cananee: il libro ha il tono di un’epopea celebrativa dell’impresa compiuta da Giosuè.

Nella prospettiva del libro dei Giudici le cose sarebbero andate, invece, in modo molto diverso: l’insediamento nella Terra Promessa è avvenuto in un arco di tempo prolungato, gli Israeliti hanno fatto fatica ad avere la meglio sugli abitanti del luogo e, anzi, per un certo tempo hanno dovuto convivere con loro non senza subire angherie e umiliazioni. Il libro dei Giudici racconta, dunque, gli avvenimenti con uno sguardo più realistico.

Anticipiarno fin da ora che non è conveniente domandarsi chi ha ragione e neppure di insinuare che i due libri siano in contraddizione fra loro. Si tratta di due prospettive diverse. La finalità perseguita nel narrare questi avvenimenti è diversa. È invece conveniente spendere una parola sul resoconto storico offerto da entrambi.  Lo faremo cominciando dal Libro di Giosuè.

Don Luigi Pedrini

15 Gennaio 2017

Carissimi Parrocchiani,

abbiamo avuto modo in questi anni di camminare insieme su alcuni importanti ‘sentieri verso l’Alto’ che si trovano nell’Antico Testamento: il sentiero di Abramo, di Giacobbe, di Giuseppe, di Mosè. Questi quattro sentieri sono i primi che si incontrano nella Bibbia e costituiscono per la loro ricchezza e completezza dei riferimenti fondamentali per ogni uomo che cerca Dio.

È mia intenzione proseguire nella stessa direzione anche se dobbiamo mettere in conto che il nostro cammino, a questo punto, giunge a una svolta.

Già facevo qualche cenno al riguardo presentando la figura di Mosè. Egli è l’ultimo dei grandi patriarchi dell’Antico Testamento e, tuttavia, già con lui le cose cominciano a cambiare. Infatti, come annotavo all’inizio del suo sentiero, a partire da lui il vero protagonista del dialogo con Dio non è più la figura del patriarca, ma il popolo di Israele che sta cominciando a muovere i suoi primi passi.

Fino a Mosè il popolo di Israele non esisteva o, meglio, esisteva in germe ed era rappresentato dalla figura del patriarca. Ma, dopo l’uscita dall’Egitto e con l’entrata nella terra di Canaan, il popolo di Israele assurge pienamente ad essere l’interlocutore di Dio. Dio instaura con lui quel dialogo che servendosi di mediatori e modalità diverse (cfr. Eb 1,1ss) ha il suo punto di arrivo nell’invio del Figlio, il Verbo eterno di Dio che si fa uomo in Gesù di Nazaret e con il quale il Padre si rivolge ormai a tutta l’umanità.

Si tratterebbe, allora, di seguire a questo punto il ‘sentiero verso l’Alto’ tracciato dal popolo di Israele, cioè di seguire i passi tracciati da Dio per aiutarlo a prendere sempre più coscienza della sua vocazione di popolo della promessa.  Non seguiamo però esattamente questa strada.

Per ritornare all’immagine della montagna che stiamo insieme scalando attraverso i diversi ‘sentieri verso l’Alto’  – sentieri che portano tutti a Cristo – possiamo dire che questo dialogo tra Dio e il suo popolo si è concretamente sviluppato su tre versanti: il versante della storia, della predicazione profetica e della riflessione sapienziale.

In altri termini, per conoscere i passi del dialogo tra Dio e il popolo di Israele possiamo metterci in ascolto, anzitutto, della sua storia concreta che ha nell’istituzione monarchica e, quindi, nella figura del re, il suo asse portante; in secondo luogo, si tratta di considerare la mediazione offerta dai profeti che con la loro predicazione hanno aiutato il popolo di Israele a tenere viva la coscienza della propria vocazione di popolo consacrato a Jahwé; infine, occorre considerare la riflessione sapienziale che investigando l’esperienza umana alla luce della fede ha colto i capisaldi della sapienza che viene da Dio stesso. Pertanto, vorrei muovermi su questi tre versanti percorrendo di ciascuno un sentiero verso l’Alto. Incominciamo dal versante della storia e prendiamo in considerazione tra i tanti sentieri quello più bello e significativo: il sentiero del re Davide.

Don Luigi Pedrini