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17 Dicembre 2017

Carissimi Parrocchiani,

siamo ormai nell’imminenza della grande Festa del Natale. Lasciamo allora la vicenda di Davide che riprenderemo dopo le feste natalizie e prepariamoci a vivere bene i giorni che ci attendono.

Disponiamoci ad accogliere il Signore che nel mistero del Natale appare come un Dio ‘amabilissimo’: valorizzo questa espressione che non è mia, ma di don Primo Mazzolari.

Nella riflessione che fa questo sacerdote e che è riportata nel libretto Il Natale (ed. EDB, 2016, pp. 9-16) –  da cui ho tratto la citazione che ho riportato nel biglietto di auguri natalizio che riceverete in questi giorni nelle vostre case – don Primo Mazzolari distingue tra falsa e vera amabilità.

La falsa amabilità è quella che propaganda il mondo e vuole far credere che saremo tanto più amabili quanto più riusciremo a metterci in evidenza di fronte agli altri. Ma questo tendere ai primi posti “nel magro festino della vita” non ci rende affatto amabili: “Chi si mette in alto per forza è invidiato, temuto, adulato, quasi mai amato. Chi ambisce i primi posti si esclude dall’amabilità”.

“La vera amabilità, invece, incomincia quando uno, non avendo più niente di amabile, viene amato per quello che non ha più per che quello che ha”. In questa maniera Dio ci ama; non perché possiamo vantare delle prerogative di amabilità, ma semplicemente perché ai suoi occhi siamo amabili nella nostra povertà: “Io credo – scrive don Primo Mazzolari – nell’amore di un Dio che mi ‘prende’ nelle braccia nell’attimo della mia più estrema miseria, il peccato”.

La vera amabilità, dunque, rifugge dalla ricerca dei primi posti. Per questo Dio venendo in mezzo a noi è andato a cercare l’ultimo posto al fine di rendersi amabile agli occhi di tutti: “Il Figliuolo di Dio nasce tra gli uomini, in una condizione che non desta invidia a nessuno: né una casa, né una culla, una stella, una greppia. In tal modo l’infinita Carità di Dio, rivestitasi di povertà di spirito, è divenuta veramente amabile anche per noi povere creature”. In questo modo, il nostro amore verso Dio viene purificato da ogni secondo fine e siamo messi nelle condizioni di amare Dio “non per la gloria o per la potenza, ma per sé stesso. […] Nel presepio, come sul Calvario, Dio è amabilissimo: è davvero il Dio con noi, il Dio del mio cuore, che mi spalanca il Regno della carità”.

Così il Natale ci insegna che la vera amabilità affonda le sue radici nella povertà: il povero fa esperienza di essere amato da Dio e scopre con stupore un Dio che pure si fa povero per condividere tutto con Lui.

È questo il dono che il Natale vuole farci e che anche noi chiediamo in questi giorni.

 Don Luigi Pedrini

10 Dicembre 2017

Carissimi Parrocchiani,

            aggiungiamo alle considerazioni fatte sull’episodio di Davide e Golia un ultimo tassello per aprire la contemplazione su Gesù.

In sintonia con la tradizione cristiana possiamo leggere in questo episodio una prefigurazione della lotta e della vittoria che Gesù ha riportato su Satana in tutta la sua vita.

Non sarebbe difficile richiamare alla memoria diversi episodi evangelici nei quali si vede Gesù che si confronta con il tentatore, ne smaschera le astuzie, vince la tentazione di cedere alla paura e alla mancanza di fiducia in Dio.

            Limitiamo la nostra attenzione ai due episodi nei quali si parla espressamente della lotta vittoriosa che Gesù ha sostenuto contro Satana: l’episodio delle tentazioni che si colloca all’inizio del suo ministero e la prova vissuta in occasione della passione e morte.

            Nell’episodio delle tentazioni nel deserto Gesù testimonia la capacità di non lasciarsi ammaliare dalle lusinghe di Satana e di rimanere saldo nel suo abbandono fiducioso alla volontà del Padre. Le scelte di essere povero contro la tentazione di garantirsi il pane; di servire contro la tentazione del potere; di abbassarsi contro la tentazione di abbagliare legando sé le persone con la sua potenza taumaturgica manifestano la sua piena vittoria sulle lusinghe del maligno.

            La fedeltà a queste scelte ha richiesto da parte di Gesù una continua lotta per respingere tutti quei tentativi che in modo mascherato gli riproponevano di seguire la logica mondana suggeritagli dal tentatore. Da questo punto di vista tutta la vita di Gesù è stata un combattimento spirituale contro il male.

            Il combattimento decisivo avviene in occasione della passione e della morte. È il “tempo fissato” (Lc 4,12) nel quale Satana dispiega tutta la sua forza per sconfiggere Gesù

            Qui la tentazione fa leva su tutte quelle prove che Gesù incontra e che sembrano avallare la sconfitta della sua missione: la solitudine per l’abbandono di tutti; la contestazione da parte dei capi religiosi; la derisione e lo scherno di chi lo condanna a morte; la sofferenza della croce. In queste prove risuonava in fondo la voce arrogante di Golia protesa a incutere un penoso senso di impotenza e di sconfitta.

            Gesù però è andato avanti deciso nella sua strada riponendo in modo totale sua fiducia nel Padre. Il passaggio decisivo avviene nell’Orto degli Ulivi dove Gesù vive un’esperienza di profonda lotta interiore dalla quale esce vincitore in forza della accorata preghiera rivolta al Padre: “Padre, se vuoi allontana da me questo calice. Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42). Il Vangelo riferisce che, dopo avere pregato in modo sofferto per un’ora, si rialza e si consegna a coloro che vengono per arrestarlo e condannarlo a morte. Questo testimonia che neppure la prospettiva del fallimento totale nella morte ha incrinato la sua piena fiducia nel Padre. Da questo punto di vista ha ragione il Card. Martini quando afferma che Gesù ha dimostrato di fronte alla morte un coraggio “ben superiore” a quello di Davide. Davide infatti “contava molto sul Signore e un po’ di sé” (p. 117); Gesù, invece, si rimette totalmente nelle mani del Padre. Anche la radice profonda di questo coraggio è diversa: Davide trova coraggio al pensiero che Dio lo ha sempre aiutato nei momenti della difficoltà; Gesù trova coraggio nella sua identità di Figlio e nella certezza di avere un Padre nei cieli.

            In questo modo, Gesù ci svela il segreto perché anche noi possiamo affrontare con coraggio il nostro duello con Golia: si tratta di scoprire che siamo diventati per grazia figli adottivi in Cristo e che abbiamo nei cieli un Padre che ci ama (cfr. Ef 1,3-6). Il cuore di una fede capace di vincere qualsiasi ‘Golia’ sta tutta qui.

Don Luigi Pedrini

3 Dicembre 2017

Carissimi Parrocchiani,

facciamo una seconda considerazione sulla vicenda di Davide e Golia. La ricaviamo mettendo a confronto la diversità di sguardo di Saul e di Davide sulla situazione che stanno vivendo.

Lo sguardo di Saul è quello tipico dell’uomo esperto d’armi: ritiene che l’esito positivo degli scontri militari dipenda dalle forze messe in campo, dall’astuzia, dalle armi. Si spiega in questa ottica il fatto che rivesta Davide della sua armatura e si dimostri alquanto meravigliato che il giovanetto a un certo punto se ne liberi. Lo sguardo di Davide è invece quello del credente: nasce da quella saggezza della fede che la Scrittura esalta come il bene più prezioso. Si spiegano in questo orizzonte le scelte che mette in atto: quella di affrontare Golia in duello, ma anche di affrontarlo semplicemente con la fionda e pochi ciottoli raccolti dal torrente. Queste scelte sono coerenti con la sapienza della fede che si affida a quel Dio che ha sempre sperimentato fedele nei momenti della difficoltà e del pericolo. Per questo Davide dice a Golia: “Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti” (v. 45).

Dunque, in questa vicenda si confrontano tra loro la saggezza ‘umana’ rappresentata da Saul e la sapienza credente rappresentata da Davide; la prudenza che si fonda sul calcolo e il coraggio che scaturisce dalla fede.

Venendo a noi dobbiamo dire che questo confronto accompagna la vita della Chiesa fino ai nostri giorni. Infatti, la missione ecclesiale di annuncio e testimonianza richiede necessariamente un atteggiamento prudenziale; esige attenzione alle circostanze, alle situazioni, come pure alle possibili reazioni a cui si può andare incontro: quello che gli altri possono dire, come possono essere interpretate le nostre parole e le nostre scelte.

Questa prudenza pastorale è necessaria e, tuttavia, occorre anche il coraggio di sconfinare talvolta al di là dei terreni sicuri e portarsi negli spazi del ‘non garantito’; diversamente, l’atteggiamento di prudenza rischia di essere un laccio che impedisce di camminare. Si riuscirà in questo modo a difendere le posizioni acquisite, ma non a mettere in atto un vero cammino in avanti.

Al riguardo il Card. Martini fa notare che se Davide non si fosse esposto nell’accogliere la sfida arrogante di Golia, “gli uomini di Saul sarebbero rimasti immobili per sempre di fronte alle forze dei nemici. È Davide che rompe l’immobilità buttandosi al di là di ogni calcolo umano, disprezzando la paura irrazionale, sapendo che il Signore può tutto” (p. 114). Ugualmente la Chiesa: perché non cada nell’immobilità, occorre qualcuno che come Davide prenda coraggio, vinca la paura di navigare a vista e si spinga in mare aperto.

La considerazione interpella la nostra vita e ci spinge a domandarci se la nostra testimonianza nasce dalla prudenza calcolatrice che rifugge dal rischio oppure dalla prudenza che unita alla fede non teme, se necessario, di esporsi. A questa seconda prudenza ci esorta anche papa Francesco nell’Evangelii gaudium quando scrive: “La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10) e per questo sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura […]. Osiamo un po’ di più a prendere l’iniziativa” (n. 24).

Don Luigi Pedrini

 

19 Novembre 2017

Carissimi Parrocchiani,

nel nostro racconto arriviamo alla quinta scena nella quale assistiamo al duello tra Davide e Golia. La scena si apre con le parole di disprezzo che Golia proferisce nei confronti di Davide. Reputa infatti un’offesa al suo onore dover combattere contro un ragazzo fulvo di capelli e di bell’aspetto (v. 42) e armato solo di un bastone. Che gli israeliti pensino di sbarazzarsi di lui servendosi di un ragazzino gli appare proprio offensivo. Il Filisteo disse a Davide: “Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?”. E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dei (v. 43)

Davide, però, non si lascia intimidire dalle sue parole e risponde alla minaccia con un’altra minaccia nominando, come già aveva fatto in precedenza con Saul, chi è il vero combattente chiamato in causa in questa sfida: “Del Signore è la guerra ed egli vi metterà certo nelle nostre mani” (v. 47).

Da parte sua si rimette completamente nelle mani di Dio: “Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele, che tu hai sfidato” (v. 45).

Il duello si svolge in modo molto rapido e viene descritto in quattro soli versetti: Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse a prendere posizione in fretta contro il Filisteo. Davide cacciò la mano nella sacca, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s’infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra. Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra, colpì il Filisteo e l’uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa. I Filistei videro che il loro eroe era morto e si diedero alla fuga (vv. 48-51).

Così, improvvisamente, Golia, il gigante che incuteva paura solo al vederlo avvolto com’era nella sua imponente armatura, crolla rovinosamente a terra. La sua morte, pur aprendo la strada agli Israeliti per una totale vittoria nei confronti dei Filistei, non ha tuttavia soltanto un valore dal punto di vista militare. Più grande – come fa notare Costacurta – è il suo valore simbolico: “Il mostro che voleva distruggere le schiere del Dio vivente si rivela per ciò che era: un ammasso di forza bruta, di muscoli e di armi, ma senza la vera consistenza che viene dalla bontà e dalla fede. Così, basta un sasso, se lanciato con destrezza e fidando del Signore, per buttare giù quella montagna di arroganza. […] Davanti al Signore che combatte, la potenza falsa e idolatrica degli uomini deve piegarsi, ed è la piccolezza credente a uscirne vittoriosa” (Con la cetra e con la fionda, p. 68).

Dunque, Golia è simbolo di tutte le pretese umane che fanno la voce grossa per imporsi e che nel momento in cui vengono a scontrarsi con una fede vera rivelano la loro identità di idoli vuoti dai piedi di argilla destinati a frantumarsi al primo sasso che cade su di loro.

Da notare che in tutta questa vicenda drammatica in cui è in gioco il destino di Israele Saul rimane una figura marginale. È Davide invece la figura emergente: è il giovane pastore che si trova improvvisamente innalzato a eroe di Israele. A differenza di Saul egli ha saputo essere all’altezza della situazione e a comportarsi da vero re. È il consacrato di Dio che ha avuto il coraggio di rinunciare all’armatura dei forti per combattere con le armi deboli riponendo interamente la propria fiducia nel Signore.

 Don Luigi Pedrini

 

12 Novembre 2017

Carissimi Parrocchiani,

stiamo considerando la quarta scena che prepara al duello tra Davide e Golia. Saul fa chiamare il giovane figlio di Iesse e attraverso il dialogo che segue prende atto che Davide ha maturato la ferma decisione di affrontare Golia in duello.

Saul vorrebbe distoglierlo, ma constatando la sua ferma decisione, gli concede il benestare; si spoglia della sua armatura e la fa indossare a Davide: Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e lo rivestì della corazza (v. 38)

Ma accade a questo punto qualcosa che non era stato previsto: Davide cinse la spada di lui sopra l’armatura e cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato (v. 39a). Dunque, Davide rivestito dell’armatura del re viene a trovarsi in grave difficoltà: la sua inesperienza e il suo fisico non ancora adulto fanno del dono dell’armatura regale più un impedimento che un aiuto. Per questo Davide la rifiuta. Disse a Saul: “Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato”. E Davide se ne liberò. Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese ancora in mano la fionda e si avvicinò al Filisteo (vv. 39-40).

Come già accennavo questo particolare dell’armatura ha un alto valore simbolico se si considera il fatto che l’armatura rappresenta il re stesso. Pertanto, nel gesto con cui Saul si spoglia della sua armatura si può leggere una sorta di consegna che egli fa a Davide della propria regalità. Si spoglia della sua autorità e la cede a questo giovane che, a sua insaputa, è stato unto re di Israele.

Ugualmente nel rifiuto dell’armatura da parte di Davide possiamo leggere la sua presa di distanza dalla regalità così come è incarnata da Saul. Saul n el suo modo di vivere la regalità fonda la sua fiducia nell’armatura, cioè sul potere delle armi; Davide invece nell’affidamento a Dio. Con il rifiuto dell’armatura Davide testimonia di voler andare avanti nella sua linea di piccolezza e di serena fiducia nel Signore.

Commenta Costacurta: L’obiezione di Saul, “non puoi andare contro questo filisteo” (v. 33) viene perciò ripresa e confermata da Davide in piena verità: “non posso andare con queste (armi)” (v. 39).  Il senso delle due affermazioni è però molto diverso. Saul crede che il ragazzo non possa andare a combattere perché non è addestrato alla guerra, Davide invece dice semplicemente che non può farlo con quell’equipaggiamento. Il “non potere” riguarda i mezzi, considerati necessari dall’uno e superflui, anzi ostacolanti, dall’altro. Perché uno si fida della forza, mentre l’altro si fida di Dio.Sono due diversi modi di porsi di fronte alla realtà che giungono a confronto e, più precisamente, due diversi modi di incarnare la regalità (Con la cetra e con la fionda, pp. 64-65).

Dunque, in questo dialogo tra Saul e Davide, ci sono due regalità a confronto: da una parte c’è Saul che di fatto sta abdicando alla sua funzione di re; dall’altra, c’è Davide che sta assolvendo proprio quello che per sé spettava a Saul: dare coraggio ai soldati perché Dio combatte per Israele. Saul come re dovrebbe prendersi cura del suo popolo, come un pastore ha cura del suo gregge: su questo punto però si rivela mancante. Davide, invece, il pastore di greggi, si sta mostrando capace di fare il re. Siamo a un passaggio delicato dell’ascesa di Davide verso la regalità. Come annota ancora Costacurta, lo scambio delle parti è giunto a un punto di non ritorno” (p. 65).

 Don Luigi Pedrini

5 Novembre 2017

Carissimi Parrocchiani,

nell’episodio che stiamo considerando – la sfida di Davide con Golia – siamo giunti alla quarta scena: ora Davide viene condotto da Saul. La scena riferisce il dialogo che avviene tra loro, tra il re di fatto e il re in pectore: da una parte c’è il superiore, dall’altra il suddito; il ‘grande’ Saul che supera tutti dalla spalla in su e il ‘piccolo’ esperto nella cura del gregge.

In realtà, se sappiamo vedere al di là dell’apparenza, scopriamo che le cose stanno in modo ben diverso perché Saul che dovrebbe infondere coraggio a tutti ha paura, mentre Davide non si lascia intimorire; il superiore si ritrae di fronte alla sfida lanciata da Golia, mentre l’inferiore è disposto ad accogliere la sfida: Davide disse a Saul: “Nessuno si perda d’animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo” (v. 32). Dunque, le posizioni sono esattamente invertite.

Alla disponibilità offerta da Davide Saul oppone un immediato rifiuto: “Tu non puoi andare contro questo Filisteo a combattere con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua adolescenza” (v. 33). La risposta di Davide è, però, altrettanto decisa: “Il tuo servo pascolava il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora dal gregge. Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la pecora dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l’afferravo per le mascelle, l’abbattevo e lo uccidevo. Il tuo servo ha abbattuto il leone e l’orso. Codesto Filisteo non circonciso farà la stessa fine di quelli, perché ha sfidato le schiere del Dio vivente” (vv. 34-36).

Nella risposta di Davide sono degne di nota le parole finali nelle quali fa espressamente menzione di Dio: questo perché, a suo giudizio, il vero destinatario della sfida di Golia, ultimamente, è proprio Dio. Golia con le sue parole arroganti sta irridendo non solo gli Israeliti, ma anche quel Dio nel quale essi ripongono la loro fiducia.

Questa offesa verso Dio è la ragione per cui Davide sente di non poter lasciare cadere nel vuoto la sfida. E se è a motivo del nome disonorato di Dio che egli dà la sua disponibilità, è pure nel nome di Dio che si prepara a scontrarsi con Golia. Sarà Dio infatti a liberarlo e a concedergli la vittoria così come lo ha liberato in passato allorché si trovato in situazione non meno pericolose: “Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo” (v. 37). La sua fiducia in Dio è totale e per questo si dichiara pronto al duello.

Da questo punto di vista è estremamente significativo l’episodio dell’armatura: Saul rispose a Davide: “Ebbene va’ e il Signore sia con te”. Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e lo rivestì della corazza. Poi Davide cinse la spada di lui sopra l’armatura e cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato. Allora Davide disse a Saul: “Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato”. E Davide se ne liberò (vv. 37-39). Dunque, Saul si spoglia della sua armatura e la fa indossare a Davide perché sia adeguatamente equipaggiato per affrontare Golia. Ma il suo gesto assume un alto valore simbolico se si considera che l’armatura rappresenta il re stesso. Ma di questo parleremo la prossima volta.

 don Luigi Pedrini

29 Ottobre 2017

Carissimi Parrocchiani,

dopo la prima scena rappresentata dalla sfida che Golia puntualmente, per quaranta giorni consecutivi, come una specie di ossessione martellante, ha lanciato contro gli Israeliti; dopo quella che ci ha condotti nell’intimità della casa di Iesse e ci ha riprensentato Davide giovane pastore inviato dal padre al campo di battaglia per portare i viveri ai fratelli e informarsi del loro stato di salute, giungiamo ora alla terza scena che si svolge al campo di battaglia.

Davide sopraggiunge proprio nel momento in cui Golia fa la sua comparsa e torna a fare la sua proposta umiliante per gli Israeliti che si vedono costretti ogni giorno a guardare in faccia alla paura che li tiene in scacco. Il testo riporta a questo punto l’informazione offerta da uno dei soldati: Ora un Israelita disse: “Vedete quest’uomo che avanza? Viene a sfidare Israele. Chiunque lo abbatterà, il re lo colmerà di ricchezze, gli darà in moglie sua figlia ed esenterà la casa di suo padre da ogni gravame in Israele” (1 Sam 16,25).

Queste parole lasciano intravedere il grado di disperazione a cui gli Israeliti sono arrivati dal momento che Saul è disposto a ricompensare assai generosamente chi dovesse rendersi disponibile ad affrontare Golia: oltre a ricchezze materiali, avrà in sposa la figlia del re e la sua famiglia sarà sgravata dal pagamento delle tasse.

La sorpresa di Davide è grande e si esprime in una serie di incalzanti domande che rivelano il suo desiderio di far luce su quanto sta accadendo.

26Davide domandava agli uomini che gli stavano attorno: “Che faranno dunque all’uomo che abbatterà questo Filisteo e farà cessare la vergogna da Israele? E chi è mai questo Filisteo incirconciso per sfidare le schiere del Dio vivente?”. 27Tutti gli rispondevano la stessa cosa: “Così e così si farà all’uomo che lo abbatterà” (1 Sam 16,26-27).

Davanti a questo comportamento di Davide viene da chiedersi quale sia il movente di tanto interesse: è forse la curiosità e la presunzione di un giovincello che in questo modo vuole mettersi in mostra e darsi importanza o è la reazione spontanea di chi si sente chiamato direttamente in causa avendo la consapevolezza che un giorno dovrà essere il capo di Israele?

Stando al rimprovero severo che gli muove Eliab, il fratello maggiore, l’atteggiamento di Davide va letto nella direzione della prima ipotesi. Egli si irritò con Davide e gli disse: “Ma perché sei venuto giù e a chi hai lasciato quelle poche pecore nel deserto? Io conosco la tua boria e la malizia del tuo cuore: tu sei venuto giù per vedere la battaglia” (1 Sam 16,28).

Come si vede il fratello lo canzona per la sua presunzione, lo invita espressamente a non intromettersi nelle cose che non lo riguardano e di pensare, invece, al gregge che deve pascolare. Per lui Davide è un giovane esuberante che necessita di essere ridimensionato. Da notare che il rimprovero è fatto con parole ironiche, pungenti e oltretutto avviene davanti a tutti i soldati.

Davide però non ci sta a questo rimprovero e si difende: “Che cosa ho dunque fatto? Era solo una domanda” e con le sue domande va avanti continuando così a mettere il dito nella piaga.

Si apre a questo punto la quarta scena: Davide, a motivo delle sue domande, viene portato alla presenza di Saul.

Don Luigi Pedrini

22 Ottobre 2017

Carissimi Parrocchiani,

dopo aver riferito la drammatica situazione in cui si trovano gli Israeliti a motivo della sfida lanciata da Golia, ora il testo presenta un cambiamento di scena improvviso e inatteso: dal campo di battaglia ci conduce nell’intimità di una casa. Ed ecco il racconto di questa scena:

12Davide era figlio di un Efrateo di Betlemme di Giuda chiamato Iesse, che aveva otto figli. Al tempo di Saul, quest’uomo era un vecchio avanzato negli anni. 13I tre figli maggiori di Iesse erano andati con Saul in guerra. Di questi tre figli, che erano andati in guerra, il maggiore si chiamava Eliàb, il secondo Abinadàb, il terzo Sammà. 14Davide era ancora giovane quando questi tre più grandi erano andati dietro a Saul. 15Egli andava e veniva dal seguito di Saul e pascolava il gregge di suo padre a Betlemme. 16Il Filisteo si avvicinava mattina e sera; continuò così per quaranta giorni. 17Ora Iesse disse a Davide, suo figlio: “Prendi per i tuoi fratelli questa misura di grano tostato e questi dieci pani e corri dai tuoi fratelli nell’accampamento. 18Al comandante di migliaia porterai invece queste dieci forme di formaggio. Infórmati della salute dei tuoi fratelli e prendi la loro paga. 19Essi con Saul e tutto l’esercito d’Israele sono nella valle del Terebinto, a combattere contro i Filistei”. 20Davide si alzò di buon mattino: lasciò il gregge a un guardiano, prese il carico e partì come gli aveva ordinato Iesse. Arrivò ai carriaggi quando le truppe uscivano per schierarsi e lanciavano il grido di guerra.

 Come si vede il passaggio è molto brusco: improvvisamente lasciamo il campo di battaglia e veniamo a trovarci in una situazione familiare di pace dove troviamo un padre anziano Iesse che ha i tre figli più grandi arruolati nell’esercito di Saul, mentre il più piccolo dei suoi otto figli fa il pastore nella piccola Betlemme di Giuda. Dunque, entra nuovamente in scena Davide. È lui al centro della scena, anche se qui la sua presentazione è fatta un po’ in sordina: di lui si parla in riferimento al padre, ai suoi fratelli e al gregge che deve pascolare.

Possiamo notare l’insistenza sulla giovinezza-piccolezza di Davide: i fratelli Eliab, Abinadab e Samma sono i grandi, quelli che contano all’interno della famiglia. Davide invece è il piccolo che è poco presente in famiglia perché deve andare a curare le pecore al pascolo.

Il v. 15 precisa che egli andava e veniva dal seguito di Saul e pascolava il gregge di suo padre a Betlemme. Questo andare e venire allude al fatto che Davide, come si riferisce nel capitolo precedente, era stato prescelto per dare conforto con la sua musica a Saul nei suoi momenti di crisi depressiva (cfr. 16,14-23). Ma il suo era un andare e venire perché a casa doveva attendere al pascolo del gregge. Anche questa volta l’ambasceria che gli viene affidata è un andare e venire: va per portare cibo, ritirare la paga, informarsi sullo stato di salute dei fratelli e poi tornare a casa per dare notizie. Pertanto, la sua sortita al campo di battaglia non ha nulla di eccezionale e non si prospetta affatto pericolosa: nulla lascia presagire quanto sta per accadere.

Va notata dal punto di vista narrativo la stranezza del v. 16 che affianca alla scena che si svolge in famiglia quella del campo di battaglia. Due scene completamente diverse e si direbbe molto lontane: i loro protagonisti, Golia e Davide, sono estranei l’uno all’altro. In realtà le due scene sono molto più vicine di quanto si pensi: proprio questo ragazzo inesperto d’armi sarà la chiave risolutiva della grave situazione in cui versa l’esercito di Israele. Così Davide, ignaro di tutto, in obbedienza al padre parte per portare ai fratelli cibo e avere notizie di loro. Giunge nella valle del Terbinto proprio nel momento in cui i due eserciti sono sul punto di scendere in battaglia.

 Don Luigi Pedrini

15 Ottobre 2017

Carissimi Parrocchiani,

cominciamo a considerare la prima scena nel racconto dello scontro tra Davide e Golia.  Il testo riferisce anzitutto la grave situazione in cui si trova Israele.

1I Filistei radunarono di nuovo le loro truppe per la guerra, si radunarono a Soco di Giuda e si accamparono tra Soco e Azekà, a Efes-Dammìm. 2Anche Saul e gli Israeliti si radunarono e si accamparono nella valle del Terebinto e si schierarono a battaglia contro i Filistei. 3I Filistei stavano sul monte da una parte, e Israele sul monte dall’altra parte, e in mezzo c’era la valle (1 Sam 16,1-3).

Dunque, i Filistei hanno radunato tutto il loro esercito, si sono appostati nella valle del Terebinto e sono pronti a sfidare gli Israeliti. Il quadro fa impressione: i due eserciti si fronteggiano, ognuno su un’altura, pronti a darsi battaglia.

Ma proprio in questa situazione in cui la battaglia potrebbe scoppiare da un momento all’altro, si fa avanti un rappresentante dei Filistei che propone di evitare lo scontro sostituendolo con un duello individuale. Il testo precisa di questo filisteo l’identità e ne descrive la fisionomia.

4Dall’accampamento dei Filistei uscì uno sfidante, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. 5Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. 6Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle. 7L’asta della sua lancia era come un cilindro di tessitori e la punta dell’asta pesava seicento sicli di ferro; davanti a lui avanzava il suo scudiero.

La proposta che fa agli Israeliti è precisa ed esigente: un loro rappresentante dovrà combattere con lui: chi vincerà otterrà la vittoria per il suo popolo; chi perderà determinerà la sconfitta del suo popolo che diventerà schiavo dei vincitori. La posta in gioco nella sua richiesta è molto alta: un uomo solo deciderà la sorte di tutto il suo popolo. La proposta, inoltre, è fatta con una buona dose di supponenza: questo filisteo si sente molto sicuro di sé, è convinto di avere già la vittoria nelle sue mani e per questo lancia una sfida di questa entità.

Chiaramente l’offerta di Golia mette Israele su una strada senza via d’uscita: l’accettazione del duello lo espone con tutta probabilità a una sconfitta e alla prospettiva di diventare schiavo dei Filistei; il rifiuto contribuirà a creare un senso di inferiorità e di panico che di per sé è già una sconfitta in partenza. Nulla come la paura contribuisce a diventare facile preda dei nemici. Ed è proprio quest’ultima la situazione in cui sprofondano gli Israeliti: nel versetto 11 si dice, infatti, che Saul e tutto Israele udirono le parole del Filisteo; rimasero sconvolti ed ebbero grande paura.

Ma a questo punto il racconto presenta un cambiamento di scena improvvisa e inattesa: dal campo di battaglia si passa alla presentazione di Davide.

Don Luigi Pedrini