Digressioni

IV Settimana di Quaresima 2025

Padre misericordioso,
ho vagato lontano da Te, cercando felicità dove non potevo trovarla.
Ho creduto di poter bastare a me stesso, ma il cuore è rimasto vuoto.

Torno a Te, non con paura, ma con la certezza del tuo abbraccio.
Non sono degno del tuo amore, ma so che Tu non smetti mai di aspettarmi.

Lavami dalle mie colpe, rinnovami con la tua grazia.
Dammi la forza di rialzarmi, di camminare nella tua luce,
di essere segno del tuo perdono per i miei fratelli.

Padre, non guardare alla mia miseria,
ma alla tua infinita misericordia.
Accoglimi come tuo figlio, stringimi a Te,
fammi gustare la gioia di essere nella tua casa. Amen.

Lc 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci, ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

  • L’evangelista Luca colloca la parabola che ci è stata proposta come testo evangelico in quella pagina dove racconta della contestazione mossa a Gesù da parte degli scribi e dei farisei. Questi personaggi non tolleravano alcune delle sue frequentazioni. “«Costui -dicevano- accoglie i peccatori e mangia con loro»”. Per giustificare il suo comportamento, Gesù racconta di un padre e della generosità che l’uomo mostra nei confronti dei suoi due figli. Egli, infatti, accoglie di nuovo in casa il figlio più giovane e ordina ai servi di preparare il necessario perché gli fosse restituita la dignità che aveva perduta. “«Portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, -comanda ai servi- mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi … mangiamo e facciamo festa»”. Egli, poi, cerca di vincere la resistenza del figlio più anziano, che non voleva partecipare alla festa per il fratello, rivelandogli la grandezza del suo cuore: “«Tu -gli dice- sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello … era perduto ed è stato ritrovato»”.
  • Gesù racconta non soltanto la storia di un padre ma anche quella di due fratelli. Il più giovane decide di uscire di casa perché sentiva quell’ambiente troppo opprimente e il più anziano, invece, sceglie di rimanere alle dipendenze di un padrone invece che di un padre. “Il figlio più giovane, -racconta l’evangelista Luca– raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano”. La scelta di andare lontano mostra la volontà di questo ragazzo di slegarsi dall’ambiente nel quale era cresciuto. La vita da dissoluto, condotta lontano da casa, mostra la volontà di emanciparsi dai valori ricevuti nel proprio ambiente familiare. Egli rompe con un passato nel quale non si riconosceva più.
  • Quotidianamente osserviamo un’assenza preoccupante in quella che è la nostra esperienza di chiesa. Mancano i giovani e, prima di loro, quegli adulti che sono per le nuove generazione il primo e il più importante riferimento. Aumenta il numero di coloro che si allontanano da quella che abbiamo sempre riconosciuto essere una casa per tutti. Quella casa in cui Dio ha scelto di abitare. Una casa dove Dio possa essere riconosciuto, accolto e amato. Come interpretare questa situazione? Le ragioni di questo allontanamento non stanno solo nel cambiamento avvenuto con l’avvento della Modernità. C’è stato un cambiamento culturale. Il cristianesimo non è più stato considerato la religione di tutti ma è diventato un’opzione tra le altre. Una possibilità lasciata alla libertà personale. A ciascuno è stata riconosciuta la possibilità di essere cristiano o di non esserlo preferendo altro. Accanto a un motivo culturale sembra essercene anche uno spirituale che è illustrato bene in quella riflessione che Nuowen, sacerdote e teologo olandese, propone commentando proprio la parabola del figliol prodigo.

“Il fatto è che, assai prima di rientrare in sé stesso e di tornare a casa, il figlio (più giovane) è partito. Ha detto al padre: “Dammi la parte del patrimonio che mi spetta”, poi ha messo insieme tutto ciò che ha ricevuto ed è partito. L’evangelista Luca racconta tutto con tanta semplicità e in modo così concreto che è difficile rendersi pienamente conto che ciò che qui sta avvenendo è un evento … in netta contraddizione con la tradizione più onorata del tempo.

La partenza del figlio è un atto molto più offensivo di quanto sembri ad una prima lettura. È un rifiuto crudele della casa in cui il figlio è nato e cresciuto e una rottura con la più preziosa tradizione attentamente mantenuta dalla comunità più ampia di cui fa parte. Quando Luca scrive: “e partì per un paese lontano”, vuol dire assai più del desiderio di un giovane di conoscere meglio il mondo. Parla di un drastico taglio rispetto al modo di vivere, pensare e agire che gli è stato trasmesso di generazione in generazione come un sacro retaggio. Più che di mancanza di rispetto si tratta di un tradimento dei valori gelosamente custoditi della famiglia e della comunità. Il “paese lontano” è il mondo in cui non viene tenuto in nessun conto tutto quello che a casa è considerato sacro.

Andarsene da casa è molto più di un evento storico legato al tempo e al luogo. È la negazione della realtà spirituale che appartengo a Dio in ogni parte del mio essere … che sono veramente scolpito nelle palme delle mani di Dio e nascosto alla loro ombra. Andarsene di casa significa ignorare la verità che Dio mi “ha formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra e tessuto nel seno di mia madre”. Andarsene di casa è partire come se ancora non avessi una casa e dovessi cercare per trovarne una.

Qui la domanda in questione è la seguente: “A chi appartengo? Appartengo al mondo o a Dio?”. … Molte delle mie preoccupazioni quotidiane fanno pensare che appartengo più al mondo che a Dio. … Il mondo, dice: “Sì, ti amo se sei bello, intelligente e ricco. Ti amo se sei istruito, hai un lavoro e le giuste conoscenze. Ti amo se produci molto, vendi molto e compri molto”. Ci sono infiniti “se” nascosti nell’amore del mondo. Questi “se” mi rendono schiavo, poiché è impossibile rispondere adeguatamente a ognuno di essi. L’amore del mondo è e sarà sempre soggetto a condizioni. Finché continuerò a cercare il mio vero Io nel mondo dell’amore condizionato, rimarrò irretito dal mondo -provando, fallendo e provando di nuovo. È un mondo che favorisce la dipendenza perché ciò che offre non può soddisfare il desiderio più profondo del mio cuore. “Dipendenza”: può essere questa la parola più adatta per spiegare lo smarrimento che permea così a fondo la società contemporanea. … La vita “dipendente” può essere giustamente definita come una vita vissuta in “un paese lontano”.

Rimango sempre stupito di come continuo a prendere i doni che Dio mi dà -la salute, l’intelligenza e le emozioni – usandoli per fare colpo sulla gente, ricevere approvazioni ed elogi e competere per dei premi, invece di svilupparli per la gloria di Dio. Sì, spesso li porto via in un “paese lontano” e li metto a servizio di un mondo privo di scrupoli che non conosce il loro vero valore. È quasi come volessi dimostrare a me stesso e al mio mondo che non ho bisogno di Dio, che posso costruirmi una vita tutta mia, che voglio essere del tutto indipendente. Sotto tutto questo c’è la grande ribellione … il “no” radicale all’amore del Padre. Il “no” del figliol prodigo riflette la ribellione originale di Adamo: il suo rifiuto del Dio nel cui amore siamo creati e dal cui amore siamo sostentati”.

(Henri J.M. Nuowen, L’abbraccio benedicente, Brescia 1994)

  • «Portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi»”. Così il padre si rivolge ai servi appena i suoi occhi tornano ad incrociare quelli del figlio più giovane. Quando lo scorge all’orizzonte, subito, gli corre incontro, -racconta l’evangelista Luca- lo abbraccia e lo bacia. Il figlio più giovane torna ad essere oggetto di attenzione. Esce da quella invisibilità nella quale era finito a causa dell’indifferenza di tanti. Tornare ad essere oggetto di attenzione restituisce dignità a questa persona. E il segno di questa dignità sono l’abito, l’anello e i sandali che il padre fa preparare per il figlio. Ritrovando un riferimento importante nel padre, questo ragazzo non avvertirà più come mortificante lo stare con lui. Oggi, la crisi più preoccupante è quella che viviamo con gli adulti. Non solo nella Chiesa ma anche nella società sono “come scomparsi”. Questo è il quadro descritto da Armando Matteo, sacerdote teologo e segretario del Dicastero per la Dottrina della Fede, in numerosi saggi in cui riflette sul futuro nella Chiesa e per la Chiesa.

“Viviamo un tempo in cui gli adulti amano più la giovinezza che i giovani. Ed in questo diventano, gli adulti, incapaci di quella esperienza di generazione, umana e religiosa, di cui pure sono gli attori principali. E, per questo, in quanto adulti, semplicemente ci mancano. Sono come scomparsi. …

Crescere è verbo di moto. Indica camminare, muoversi, dirigersi verso. Essere giovani si realizza nella misura in cui si individua un punto oltre lo stesso essere giovane che chiama, che attira. … Se la giovinezza è il lusso del tempo per decidere quale persona intendo essere, questo lusso di tempo ha il suo culmine in un bello da trovare. … La verità della giovinezza è da cima a fondo attraversata da questa domanda: qual è il bello cui voglio affidare/consacrare la mia energia? Qual è il bello cui posso sacrificare parte consistente delle mie potenzialità? … Purtroppo, detto fuori dai denti, gli adulti di oggi non sono un bello possibile per i giovani. Molti, troppi adulti non rappresentano mete felici del cammino del giovane. Che cosa, infatti, sono diventati gli adulti inseguendo il mito della giovinezza? … Gli adulti oggi sono semplicemente tristi. Non è senza prezzo, infatti, vivere continuamente “contromano”: la lotta contro la vecchiaia … è una lotta improponibile, che logora ed esaurisce ogni energia. Consuma dentro e l’anima perde ogni profondità.

Questo livello non sempre è percepibile in modo diretto, ma se fissiamo l’adulto per un momento, la cosa apparirà abbastanza chiaramente. E’ sempre di corsa, l’adulto odierno: agitato, nervoso, guida come un matto, al lavoro sempre teso, vorace nei guadagni, non si fa scrupolo davanti alla legge (evasione, inquinamento, malaffare), convive con la criminalità organizzata con una scioltezza che fa rabbrividire, usa cocaina come se fosse un dolcificante, non ha tabù sessuali ma ha continuo bisogno di eccitanti, sceglie rappresentanti politici dei quali è conveniente tacere, permette guadagni statali vendendo prodotti che uccidono (sigarette, alcol) sfrutta i più giovani sul lavoro e con i sistemi dei mutui, ha inventato il mobbing, vende prodotti bancari inquinati, ha inventato un sistema legale di scommesse, non nutre alcuna compassione per i più poveri del mondo. Veste in modo goffo, supercolorato, dai capelli alle scarpe, indossa jeans improponibili, ha sdoganato per i maschi colori da rabbrividire (rosa, lilla, arancione, giallo …) ha messo in giro una quantità enorme di tinte per i capelli, si rifà il naso, le labbra e il seno, e per andare al mare prima passa da un centro benessere per farsi una lampada.

Ha perciò ragione Umberto Galimberti, quando afferma che “gli adulti stanno male perché, anche se non se ne rendono conto, non vogliono diventare adulti. La categoria del giovanilismo li caratterizza a tal punto da abdicare alla loro funzione, che è poi quella di essere autorevoli e non amici dei figli. Gli amici, i figli li trovano da sé, e per giunta della loro età. Dai genitori vogliono esempi, e anche autorità, perché i giovani, anche se non lo dimostrano, sono affamati di autorità”.

Crescere è verbo … dell’intravedere. Noi siamo ciò che abbiamo visto, in quanto cresciamo decidendoci per ciò che è bello. L’orecchio è paziente, ma l’occhio non perdona. Ecco il guaio della nostra società: non sono più belli, autorevoli, capaci di far elevare, gli adulti. Un eminente pedagogista italiano, Carlo Nanni, ha provato a dar voce a molti giovani, quando si relazionano con i loro adulti di riferimento: “Come volete che vi crediamo se voi stessi ci comunicate con la vostra vita, con i vostri modi di fare, con i vostri modi di reagire che siete scontenti, nervosi, aggressivi, pieni di paure, che vedete tutto e sempre nero, che non riuscite a fidarvi veramente, perché siete chiusi in voi stessi o non avete fiducia in voi stessi, in noi, negli altri, nelle cose che succedono, nelle novità che sopravvengono, nelle tendenzialità che si prospettano? Quale cristianesimo è il vostro, se poi quasi contraddite con la vita quella fiducia e quella speranza che proclamate con la parola?”.

(Armando Matteo, L’adulto che ci manca, Assisi 2014)

Avverto anch’io l’assenza preoccupante degli adulti? Sono effettivamente “scomparsi”? Quali segnali rivelano quest’assenza nelle nostre comunità? Sono convinto della necessità che ogni realtà parrocchiale si distingua come una comunità di adulti? Con quali caratteristiche? Quale volto dovrebbero mostrare gli adulti approcciando i più giovani?

Preghiera

Dal Messale Romano alla quarta Settimana di Quaresima.

Guarda con bontà, o Signore, i tuoi fedeli
e proteggi con il tuo benevolo aiuto
coloro che confidano nella tua misericordia.

Per Cristo nostro Signore. Amen.

III Settimana di Quaresima 2025

Con quanta cura, Signore,

ti occupi e preoccupi della nostra vita;

quanta premura si respira da ogni tuo gesto e parola;

quanta tenera pazienza usi per rendere feconda la nostra vita,

per seminare in noi amore vero

per dissodare le zolle dure del nostro cuore,

per sciogliere ogni resistenza che ci impedisce di portare frutti buoni.

Non come un padrone prepotente

ma come un contadino premuroso ti avvicini a noi:

insegnaci, Signore, a lasciarci toccare da te e trasformare dal tuo amore,

accarezza la nostra sterilità, piegati sul nostro peccato

e riaprici con la tua misericordia alla pienezza della vita. Amen.

Vangelo

Lc 13, 1-9

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

  • «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo»”. Ci sono stati proposti come testo evangelico i versetti che chiudono un lungo discorso. Discorso che Gesù rivolge ai suoi discepoli e che si apre con un’esortazione alla vigilanza e si chiude con un invito pressante alla conversione. Gesù aveva chiesto ai suoi discepoli di liberarsi di una eccessiva preoccupazione per la vita e per i suoi bisogni concreti. “«Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?»”. Gesù aveva chiesto che, liberi da ogni preoccupazione, i suoi discepoli fossero preparati ad entrare in un altro tempo che sarebbe stato quello definitivo. “«Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo»”.
  • Davanti alla possibilità di perdere la vita perché schiavi del proprio peccato, si fa urgente la richiesta di Gesù della conversione. I caduti nel tempio per mano di Pilato o i morti schiacciati dal crollo di una torre a Gerusalemme non sono stati puniti perché più colpevoli di altri. Dietro a questi eventi non ci sta un Dio castigatore. Quelle uccisioni e quelle morti sono il segno di un’altra morte possibile. Oltre la morte biologica, che ci può sempre sorprendere, ce n’è un’altra spirituale che è conseguenza dal male che scegliamo di compiere nella nostra vita. Occorre, dunque, vigilare perché questa possibilità non ci conduca alla perdizione eterna.
  • L’evangelista Luca colloca in questa pagina una parabola: la storia di un fico sterile. Sono tre anni -racconta Gesù- che il padrone del podere dove è piantato questo albero viene inutilmente a cercare i frutti. “«Taglialo, dunque! -dice al suo contadino- Perché deve sfruttare il terreno?»”. La parabola si conclude con il contadino che ottiene dal padrone un altro anno ancora per zappare e concimare il terreno attorno al fico. Il punto centrale della parabola non è tanto il lavoro del contadino quanto, piuttosto, la possibilità riconosciuta al fico sterile.
  • Viviamo un momento di grande aridità. Un segnale è l’assottigliarsi del numero di fedeli che vivono nell’ordinarietà l’esperienza ecclesiale. Desta grande preoccupazione l’assenza, soprattutto, delle nuove generazioni. Come arginare il calo, ormai evidente, della frequenza alla liturgia domenicale? Come recuperare il calo progressivo nei giovani delle vocazioni al ministero ordinato e alla vita religiosa? Domande che aprono questioni molto complicate e alle quali non riusciamo ancora a dare delle risposte compiute. Alcuni passaggi di una riflessione più ampia del vescovo emerito di Bruxelles-Malines ci aiutano a comprendere come vivere in una stagione di apparente sterilità e ci aprono al senso dello stare dentro un mondo, profondamente cambiato, mostrando una propria vitalità. Davanti ad evidenti fatiche, -afferma Jozef De Kesel- la Chiesa non può ritirarsi chiudendosi in sé stessa perché perderebbe la sua ragion d’essere.

“La Chiesa non esiste per sé. … Una Chiesa che si chiude in sé stessa si snatura e perde la sua ragion d’essere. … Una Chiesa che non attrae più, nuovi membri, è una Chiesa che si ritira all’interno. Se agisce così prova a fare solo una cosa, sopravvivere e salvare sé stessa.

La vera domanda da porsi non è tanto se la Chiesa sia in grado di mantenere l’attuale numero di membri, anche se questo rimane una preoccupazione reale. La vera domanda è se può attrarre nuovi membri. È da questo che si riconosce la vitalità di una Chiesa: non tanto dal numero di membri che ancora raggiunge, ma dal fatto che qualcuno, pienamente integrato nella cultura secolarizzata di oggi, possa essere toccato dalla verità, la forza e la bellezza del Vangelo. Questa vitalità si riconosce dal modo in cui il Vangelo … riesce a indicare la via per una vita felice, buona e umana.

La Chiesa è missione. È questo il senso della sua esistenza. … Missione non significa necessariamente cristianizzazione della società. La missione non può essere confusa con la restaurazione di una civiltà cristiana omogenea. La Chiesa non è chiamata a inglobare gradualmente il mondo e accogliere nel suo seno l’intera società. … La Chiesa è chiamata a essere nel mondo un segno dell’amore di Dio in parole e azioni.

Non possiamo condannare questa società moderna perché non è più cristiana. Dobbiamo accettarne la laicità e la pluralità senza storcere il naso. Questo non significa che dobbiamo assimilare e sottoscrivere tutto quello che questa cultura secolare offre. Noi però siamo cittadini di questa cultura e ne facciamo parte. Siamo figli di questo tempo e non di una cultura del passato; condividiamo le grandi domande e le sfide di un mondo che è anche nostro. Di conseguenza non possiamo ritirarci dalla vita in società e costruire un mondo a parte. Diciamo no a una Chiesa chiusa e ripiegata su sé stessa … no a un cristianesimo estraneo al mondo! La nostra deve essere una Chiesa presente nella società. … Dobbiamo essere presenti a modo nostro. Questo significa, concretamente, facendo ciò a cui siamo chiamati: cercare Dio, ascoltare la sua Parola, rispondergli con la preghiera e la liturgia, il ringraziamento e la lode; vivere nell’amore fraterno e nella solidarietà con chi, in un modo o nell’altro, è nel bisogno.

La Chiesa è un luogo dove l’amore di Dio è accolto e condiviso. La gente può passarle accanto e restare indifferente, oppure rimanere colpita e sentirsi interpellata da quello che sente e vede. Avviene tutto in totale libertà. Solo così Dio può trovare ciò che cerca sin dall’inizio e gli sta più a cuore: che la sua creatura lo conosca, lo ami e condivida con lui la sua vita.

Se voglio far conoscere il Vangelo a qualcuno, posso farlo solo se lo incontro. Dev’essere un incontro degno di questo nome, in cui incontro l’altro come altro, lo riconosco e lo apprezzo nella sua differenza. Questo è possibile solo se nella mia testa non elaboro piani “per fargli cambiare idea”. Se voglio incontrare un altro credente (o un non credente), non lo faccio per convertirlo. Non lo incontro con secondi fini o programmi nascosti, ma innanzitutto perché sono interessato all’altro. … L’incontro non si realizza mai se ci sono secondi fini. Un incontro non trova il suo significato in funzione di qualcosa d’altro, ma ha in sé il suo senso. Non ho nulla da vendere. È l’amicizia che evangelizza. Tuttavia, può succedere, e capita, che l’altro sia toccato da quello che dico o faccio e allora il suo cuore può aprirsi. È un miracolo sotto ogni punto di vista, ed è opera della grazia di Dio”.

(Jozef De Kesel, Cristiani in un mondo che non lo è più, Città del Vaticano 2024)

  • Il contadino ha a disposizione ancora del tempo per lavorare il terreno attorno al fico sterile. Egli si impegna a zappare e concimare il terreno perché da esso l’albero possa ricavare l’alimento che gli è necessario per vivere e portare frutto. È un impegno che il contadino affronta volentieri in attesa di consegnare al proprio padrone del buon frutto. Riconosciamo di avere una responsabilità come comunità ecclesiale. Il nostro impegno consiste nell’offrire una “vicinanza” e nel favorire un “incontro”. Questo è il modo per stare, non da estranei, in questo mondo. Come il contadino, dopo aver lavorato, si mette in attesa del frutto così anche noi, dopo esserci impegnati a offrire possibilità di “incontro”, lasciamo che un’occasionale “vicinanza” possa trasformarsi in un’autentica amicizia. Silvano Petrosino, filosofo e professore ordinario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, riconosce che ci sono esperienze importanti nella vita che sfuggono alla decisione dell’uomo e alla sua capacità di fare. Queste esperienze sono “doni” che si possono soltanto riconoscere e accogliere.

“Io credo che l’amicizia esista, che l’uomo nel corso della propria vita possa incontrare un amico, un vero amico, possa accogliere un dono e fare l’esperienza dell’amore; al tempo stesso non credo che tali possibilità si incontrino “girando l’angolo”: sono infatti eventi preziosi che nella vita di un uomo non raramente s’incontrano solo qualche volta, quasi fossero delle magnifiche eccezioni in grado di illuminare con una luce diversa e inaspettata la nostra opaca quotidianità.

Si parla dell’amicizia soprattutto, ma non solo nei social, come di una “cosa” che si chiede, che si dà o si nega, confondendo in tal modo l’amico con il conoscente, magari anche simpatico e spiritoso, o carino come oggi si usa spesso dire, con il quale ci si scambia selfie in rete o si passa il tempo al bar parlando di calcio e di motori.

L’amicizia autentica non è una “cosa”, non è un oggetto di cui si possa disporre, non è il frutto di un atto di volontà e di una decisione, ma è un evento che accade, se accade, e in cui ci si trova coinvolti, un evento, e non un fatto, che attende di essere riconosciuto e apprezzato in quanto tale. In tal senso essa è una sorta … di zona franca in cui ci si trova e in cui … è possibile vivere senza dover attaccare e senza doversi continuamente difendere.

La vita dell’uomo è ricca di “fatti”; egli, per fortuna, non si limita a subire ciò che capita ma interviene sulla vita, decidendo e soprattutto facendo questo e non quello. … Al tempo stesso l’uomo è continuamente coinvolto in realtà che sfuggono alla sua decisione e alla sua iniziativa, e che purtuttavia si rivelano essenziali per la sua esperienza. Mi permetto di accennare al fenomeno dello stupore: nessuno può seriamente decidersi di stupirsi, può accadere di stupirsi ma lo stupore non è mai il frutto di una decisione. … Si può affermare lo stesso dell’innamoramento; si può decidere di “fare un acquisto”, di “fare un regalo”, di “fare un viaggio”, ma non si può seriamente decidere di innamorarsi. Lo stupore e l’innamoramento sono eventi e non fatti, e sono tali proprio perché non possono essere fatti, perché sfuggono alla nostra decisione e al nostro potere, alla nostra capacità di fare. Oggi si parla spesso di “organizzare un evento”, … ma questo è un modo scorretto di esprimersi; in verità si può organizzare un certo incontro ma si può solo sperare ch’esso diventi e si riveli un evento. Quest’ultimo, infatti, è proprio ciò che non può essere organizzato, non può essere progettato, non può essere programmato ma, per l’appunto, solo atteso e sperato.

Nel sostenere che l’autentica amicizia è un evento che non può essere “fatto” intendo evidenziare il suo sottrarsi alla presa del soggetto, la sua eccezione/eccedenza rispetto alla decisione e alla volontà del soggetto; essa può essere sperata ma non esatta, può essere offerta ma non imposta, può essere attesa ma non richiesta. Come già osservavo rispetto all’uso del termine all’interno soprattutto del mondo social, questo tipo di amicizia non può essere oggetto di alcuno “scambio”, appartenendo piuttosto all’ordine del “dono”. Ribadito questo, bisogna però anche riconoscere ch’essa non nasce già tutta formata, all’improvviso, magicamente, e soprattutto che non dura senza il personale contributo dei soggetti in essa coinvolti. Tuttavia, ancora una volta, un simile contributo non è interpretabile solo in termini di sapere, volontà e decisione; in un certo senso ci si trova coinvolti in un’amicizia senza averlo deciso, senza sapere bene perché e per come, perché ora e non allora, perché con lui o con lei e non con l’altro e con l’altra, anche se poi, affinché duri e si approfondisca, è necessario ch’essa venga attivamente accolta e non solo passivamente ricevuta. Dell’amicizia, in verità come della vita intera, bisogna prendersi cura, ma una simile cura non “crea” l’amicizia, non la “fa”, ma la riconosce e l’accoglie evidentemente sempre e solo se lo si desidera. È un altro aspetto fondamentale di questa sorprendente esperienza: ci si trova in un’amicizia, ci si accorge come in ritardo -ecco la sorpresa- che un’occasionale vicinanza si è trasformata con il tempo in un’autentica amicizia, ed è per questa ragione ch’essa è “tesoro”, ch’essa appare come “tesoro”, e un tesoro” lo si trova e non lo si fa, lo si trova come un dono inaspettato che d’altra parte, proprio in quanto tesoro/dono, attende di essere riconosciuto e attivamente accolto.

(Silvano Petrosino, L’amicizia, Aprile 2023)

Sentiamo di essere tutti chiamati alla missione? Crediamo che questa responsabilità non sia una prerogativa soltanto clericale? Siamo disposti ad affrontare un nuovo impegno liberandoci dalla volontà di una restaurazione del passato? Quali potrebbero essere per una parrocchia occasioni di incontro? Cosa potrebbe favorire e cosa ostacolare queste occasioni? Siamo disposti a riconoscere ad ogni occasione un tempo successivo di maturazione e di sviluppo?

Dal Messale Romano alla Terza Domenica di Quaresima.

O Dio dei nostri padri,
che ascolti il grido degli oppressi,
concedi ai tuoi fedeli
di riconoscere nelle vicende della storia
il tuo invito alla conversione,
per aderire sempre più saldamente a Cristo,
roccia della nostra salvezza.
Egli è Dio, e vive e regna con te,

nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli. Amen.

II Settimana di Quaresima 2025

Signore Gesù,
nell’esperienza della Trasfigurazione,
hai rivelato la tua gloria
e hai confortato i tuoi discepoli
nel cammino verso la Croce.
Guidaci anche noi lungo il sentiero
della conversione e della fede.

Spirito Santo,
scendi su di noi come una nube luminosa,
illuminaci con la tua saggezza
e infiamma i nostri cuori con il tuo amore.
Aiutaci a comprendere il mistero della Croce
e ad abbracciare la tua volontà con fiducia e speranza.

Padre misericordioso,
nel silenzio dei nostri monti interiori,
fa’ risuonare la tua voce dolce e potente,
che ci chiama ad essere testimoni della tua gloria
in mezzo alle sfide e alle difficoltà della vita.

Fa’ che, come Pietro, Giovanni e Giacomo,
possiamo rispondere con generosità e fedeltà
al tuo invito ad ascoltare Gesù,
il Figlio prediletto, il nostro Salvatore e Maestro. Amen.

Lc 9, 28b-36

Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

  • In questa seconda Domenica di Quaresima ci è stato proposto come testo evangelico un brano tratto dal capitolo nono del Vangelo di Luca. L’evangelista racconta di un fatto straordinario accaduto sulla montagna dove Gesù era salito insieme a Pietro, Giovanni e Giacomo. Un avvenimento che accade “circa otto giorni dopo -precisa l’evangelista- questi discorsi”. A quali discorsi si riferisce? Gesù aveva parlato con i suoi discepoli di quello che sarebbe dovuto accadere. Egli aveva annunciato che: “il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Gesù aveva annunciato la sua passione, la sua morte in croce e la sua resurrezione. Annuncio che i discepoli non accolgono perché non lo comprendono. Annuncio a cui Gesù aveva fatto seguire la richiesta che anche i suoi discepoli affrontassero il cammino che, attraversando la sofferenza e la morte, conduceva alla resurrezione: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.
  • L’evangelista Luca racconta che Pietro, Giovanni e Giacomo si assopiscono attendendo che Gesù concludesse la sua preghiera. I tre discepoli non si accorgono che “mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”. Essi non assistono al momento della sua trasfigurazione. “Ma -precisa l’evangelista- quando si svegliarono videro la sua gloria”. Cos’è questa “gloria”? A cosa fa riferimento l’evangelista? Con il termine “gloria”, Luca si riferisce a quella condizione che Gesù ottenne con la sua resurrezione e che Dio gli riservò dopo averlo risvegliato dalla morte. Una condizione che Pietro rivelerà annunciando la resurrezione di Gesù a quelli che si erano radunati davanti alla casa dove stava lui e gli altri discepoli il giorno di Pentecoste. “Sappia -diceva- con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”.
  • L’evangelista Luca racconta che, sulla montagna, “venne una nube … e dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!»”. Non è la prima volta che l’evangelista Luca registra il fatto di una voce proveniente dal cielo. Una voce che riconosciamo essere quella di Dio. Una voce “venne dal cielo” il giorno nel quale Gesù, al Giordano, -racconta l’evangelista- “ricevutoanche lui il battesimo, stava in preghiera”. Solo Gesù sente rivolgersi questa parola: “«Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»”. Ora questa parola è rivolta ai tre discepoli che sono sulla montagna insieme al loro Maestro. Dio Padre presenta Gesù come il proprio Figlio e lo offre ai tre discepoli invitandoli ad ascoltarlo.
  • Soltanto a Pietro, Giovanni e Giacomo è concesso di assistere alla straordinaria rivelazione che avviene sulla montagna. Essa è riservata soltanto ad alcuni. Solo a loro è data una anticipazione di ciò che avrebbero visto il giorno nel quale avrebbero incontrato il loro Maestro Risorto. Solo a loro è dato di ricevere dal cielo quella Parola che svela quello che rimane nascosto a tanti. L’esperienza straordinaria vissuta sulla montagna è per quegli uomini che un giorno edificheranno la Chiesa: il popolo che si è formato attorno a Gesù Risorto e che lo ha accolto come un dono venuto dal cielo. C’è una singolarità della Chiesa che deve essere compresa bene! Se colta nel suo vero significato, questa qualità ci aiuta a trovare la giusta collocazione della Chiesa in un mondo che mostra di esserle estraneo.

“Perché la Chiesa? … La ragione della sua esistenza deve essere cercata in Dio. … La Chiesa trova la sua origine nel desiderio di Dio. … Ovviamente non sappiamo tutto di Dio e di ciò che vuole. Dio è e rimane un mistero che va al di là di qualsiasi cosa possiamo immaginare o pensare. Dio “abita una luce inaccessibile” (1Tm. 6,16). … La Scrittura ci dice che Dio si è fatto conoscere, che si è rivelato. Ha rotto il silenzio e messo fine alla “luce inaccessibile”. Non per comunicarci una dottrina qualsiasi o una conoscenza segreta, ma per dirci quanto la sua creazione gli stia a cuore e quanto ci ami. … Questo è il grande desiderio di Dio: essere con noi, essere riconosciuto, accolto e amato dagli uomini. …

Colpisce che la Bibbia non cominci con la storia del Popolo di Dio o la fondazione della Chiesa. La Bibbia inizia con la creazione del mondo. … Sembra che Dio non sia interessato innanzitutto al suo Popolo o alla sua Chiesa. Fin dall’inizio il suo orizzonte, che rimarrà il suo obiettivo sino alla fine, è la creazione, il mondo, l’umanità. Alla fine, quando tutto sarà compiuto, non sarà la Chiesa a salvarsi, ma la creazione. Quello che gli interessa davvero non è tanto che nella società ci sia posto per la religione, in questo caso per l’unica vera. Il desiderio di Dio è che gli uomini vivano, nel pieno senso della parola, e che la sua creazione possa realizzarsi pienamente. … È questo lo scopo di Dio. Se ha creato il mondo e ci ha chiamato all’esistenza, è per amore. … Dio non vuole solo amare, vuole anche essere conosciuto e amato. Questa è la ragione fondamentale per cui Dio si è rivolto a noi, si è rivelato e si è fatto conoscere. Sembra davvero che la gioia più grande di Dio sia quella di essere conosciuto, apprezzato, lodato, ringraziato e amato dalla sua creatura.

… Se Dio ci cerca e desidera il nostro amore, allora per lui c’è un solo modo: chiedercelo. Così deve iniziare bussando alla nostra porta. … Ma non bussa a tutte le porte contemporaneamente. Non fa miracoli per convincere la gente una volta per tutte. Un miracolo lo farebbe ovviamente riconoscere da tutti e per sempre. Non è questa la strada che ha scelto. Senza libertà non troverebbe mai quello che cerca: un compagno con cui condividere e stringere un’alleanza. Quindi da qualche parte doveva iniziare, da qualche parte doveva bussare. Non ha iniziato con tutti i popoli, ha dovuto sceglierne uno. … Nel corso dei secoli uomini e donne hanno imparato a credere in Dio, a condividere con lui e a vivere nella sua alleanza.

Perché Dio vuole un popolo? … È desiderio di Dio poter disporre su questa terra di luoghi dove sia riconosciuto e amato. Dove possa condividere e vivere l’alleanza con quelli che lui stesso ha chiamato all’esistenza. Sono luoghi in cui … diventa un po’ visibile quello che Dio aveva in mente quando ci ha chiamato all’esistenza. È sua volontà che questi luoghi siano visibili, in modo che tutti possano sentire ciò che si dice e vedere ciò che accade al loro interno. … Cosa succede in questi luoghi? Sono innanzitutto luoghi dove si sente la sua voce ed egli è ascoltato. … Ecco che cosa cerca Dio in questi luoghi: vuole comunicare sé stesso, e quindi vuole parlare ed essere ascoltato. … È questo che Dio cerca: persone disponibili ad accoglierlo, sensibili alle sue intenzioni, attente a ciò che ha da dire. … Dio però non desidera solo essere ascoltato. … Desidera una risposta del cuore sincera e libera. … La preghiera è essenzialmente una risposta a chi ha cercato il contatto e per primo ha parlato. … Eppure, non rispondiamo all’amore solo con le parole. … Dio può sentirsi a casa solo nei luoghi dove ritrova qualcosa del proprio stile e viene data importanza a quello che gli sta a cuore. … Chi condivide con Dio la sua vita, diventa anche sempre più sensibile a ciò che tocca il cuore di Dio. … Ecco perché lo stile di vita di una comunità di fede deve conformarsi alla vita di Dio stesso. È un modo di vivere contraddistinto da dono e condivisione … dove ci si preoccupa degli altri e ci si prende cura dei poveri e dei bisognosi.

Quello che conta agli occhi di Dio è il mondo e non la Chiesa in sé. Nell’atto di elezione del suo popolo, Dio non abbandona il mondo. Credere questo significherebbe fraintendere seriamente il significato di questa elezione. … Se Dio chiama e raduna la sua Chiesa, se ne ha bisogno, non è solo per avere un luogo dove poter condividere e vivere un’alleanza, ma anche per farsi conoscere e ascoltare da chiunque, per dire che ama questo mondo e l’ha amato sino alla fine donandoci il suo unico Figlio.

… Oggi la ricerca di un rapporto corretto della Chiesa con il mondo esterno è una questione delicata. … La sua missione non è riconquistare uno status e una posizione che eravamo riusciti a mantenere più o meno intatti fino a un passato recente. Quello che Dio ci chiede è riservargli degli spazi dove possa, già adesso, abitare in mezzo a noi. Luoghi in tutto il mondo. Luoghi in cui possa fin da ora condividere la sua vita e vivere l’alleanza e dove possiamo provare il suo stesso amore per il mondo e l’umanità. … E’ questo il nostro modo di essere presenti nel mondo”.

(Jozef De Kesel, Cristiani in un mondo che non lo è più, Città del Vaticano 2024)

  • La voce proveniente dal cielo rivela Gesù come dono da accogliere e chiama Pietro, Giovanni e Giacomo ad ascoltarlo. “Dalla nube uscì una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». I tre discepoli sono chiamati non soltanto a riconoscere il loro Maestro come il Figlio di Dio ma anche ad esercitare nei suoi confronti la fatica dell’ascolto accogliendo la sua parola esigente. Solo con un esercizio paziente di ascolto è possibile mostrare di riconoscere, accogliere e amare chi si mostra “Altro” o incontriamo come “altri”. Riflette sulla non facile dinamica dell’ascolto reciproco fr. Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose e oggi guida spirituale di Casa della Madia, in provincia di Torino:

“Ascoltare, esercizio di uno dei sensi che ci accompagna fin dalla vita intrauterina, esercizio sempre in funzione, e per questo l’orecchio sta sempre aperto e non possiamo chiuderlo, come facciamo invece con gli altri orifizi del nostro corpo. È l’ascolto che ci rende capaci di parlare, è l’ascolto che ci permette di collocare l’altro e di renderlo vicino, anche se lontano, anche se invisibile, è l’ascolto che ci abilita al dialogo, alla relazione.

 L’impressione che ci viene dal nostro vivere quotidiano è sovente disperante: sembra che soprattutto oggi ci sia un rifiuto dell’ascolto direttamente proporzionale alla voglia, alla pretesa di parlare, di intervenire, di manifestarsi. A tutti i livelli. Dalla famiglia, dove risuonano spesso le parole: “Ascolta! Mi ascolti? Non mi ascolti mai!”, alla vita della società dove il primato è dato ai rumori, alle ossessive informazioni, alle tempeste di messaggi che ci raggiungono sonoramente anche sui social.

 Non c’è tempo per mettersi in ascolto, non c’è desiderio di ascoltare l’altro, e l’ascolto viene così rimosso da incombenti distrazioni e da impegni che ci chiedono di preferire l’essere attivi alla supposta passività dell’ascolto. Eppure, l’ascolto non è passività, richiede un certo silenzio, un’attenzione alla parola che ci è rivolta; bisogna impegnare la mente e il cuore per ascoltare veramente.

… Ascoltare è un’operazione sempre da imparare e rinnovare, ma, lo sappiamo tutti, è faticosa! Occorre essere realisti: a volte l’ascolto dell’altro non è interessante, addirittura è noioso. L’ascolto di chi è diverso ci destabilizza e ci inquieta, l’ascolto di chi ci è nemico ci mette ansia e magari ci ferisce. Eppure solo nell’ascolto noi accendiamo relazioni, sosteniamo storie d’amore, percorriamo cammini di tolleranza e di riconciliazione, perché l’ascolto ci decentra, l’altro che ascolto è da me incorporato, sicché l’altro in me diventa un bene che mi abita nell’intimo, più profondo in me di me stesso.

 Credo abbia un qualche significato il fatto che … nella chiesa cattolica si sia messa in movimento per la prima volta l’iniziativa detta “sinodale” di ascoltare tutti, sì, ascoltare anche quelli che fino a ieri dovevano solo ascoltare le gerarchie e mai far ascoltare la loro voce.

 Sarebbe una rivoluzione inedita quella dell’ascolto, ma è veramente urgente a tutti i livelli per una convivenza più umana e più bella.

(Enzo Bianchi, Ascoltami è una rivoluzione, Ottobre 2021)

Mi disorienta il fatto che “quello che conta per Dio è il mondo e non la Chiesa in sé”? Quanto siamo consapevoli della responsabilità affidata alla nostra comunità di essere un luogo nel mondo in cui Dio possa essere riconosciuto e amato? Cosa c’è che impedisce alla nostra comunità di offrire una prova concreta dell’amore di Dio per il mondo e per l’umanità? La gioia più grande per Dio e per ogni uomo è quella di essere riconosciuto, accolto e amato. E’ sufficiente l’ascolto perché l’altra persona possa essere riconosciuta, accolta e amata? Cosa favorisce e cosa potrebbe ostacolare un esercizio vero di ascolto?

Dal Messale Romano alla Seconda Domenica di Quaresima.

O Padre,
che hai fatto risplendere la tua gloria
sul volto del tuo Figlio in preghiera,
donaci un cuore docile alla sua parola
perché possiamo seguirlo sulla via della croce
ed essere trasfigurati a immagine del suo corpo glorioso.
Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli. Amen.

I Settimana di Quaresima 2025

Deserto, terra arida, senz’acqua, terra selvatica e inospitale, terra minacciosa e infeconda.

Deserto, terra che tu puoi visitare, Signore, perché vi sgorghino le sorgenti, perché vi scorra un fiume, perché diventi canneti e giuncaie.

Deserto, terra, che irrigata di Parola, trasforma
la sete di possedere in desiderio di spartire;
la smania di apparire in desiderio di promuovere gli altri;
la brama di dominare in desiderio di servire.

Deserto, terra in cui si approssimano i demoni,
ma terra che ci fa, al contempo, più liberi.

Deserto, terra fecondata dallo Spirito perché diventi ancora un giardino
in cui Dio passeggia alla brezza della sera con uomini che non lo temono
e gli uomini, pur essendo nudi, cioè fragili, non hanno paura gli uni degli altri.
Aiutaci, Signore, che abiti ogni deserto a trasformare i sogni e le visioni
in passaggi, progressivi ma inesorabili, verso la Pasqua.

Lc 4,1-13

  • In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordanoedera guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».

Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».

Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

  • In questa prima Domenica di Quaresima ci è stato proposto un brano tratto da quella pagina in cui l’evangelista Luca racconta di Gesù che lascia la valle del Giordano, dove era stato con Giovanni il Battista, per tornare in Galilea dove avrebbe iniziato la sua attività di evangelizzazione. Per raggiungere il nord della Palestina, Gesù attraversa il deserto. L’evangelista Luca racconta che Gesù “era guidato dallo Spirito nel deserto” e che qui vi rimane per “quaranta giorni, tentato dal diavolo”. Gesù avrebbe potuto percorrere un’altra strada per tornare in Galilea. Ma lo Spirito lo spinge nel deserto dove lo attende un tempo lungo di prova. Un tempo che richiama gli anni trascorsi da Israele nel deserto prima di stabilirsi nella Terra Promessa. Gesù è provato dalla fame come lo furono gli israeliti. Quella nel deserto sembra essere una via necessaria. Quella nel deserto sembra essere una prova alla quale nessuno può sottrarsi. Come lo è stato per Israele e per Gesù così lo sarà anche per i suoi discepoli, per la Chiesa. C’è un tempo di prova che attende tutti. È lo Spirito che spinge ad entrare nel deserto e che permette la prova.
  • L’evangelista Luca racconta che Gesù rimane nel deserto per “quaranta giorni” e che in questo tempo viene messo alla prova dal diavolo che lo sfida. Lo spinge a sfamarsi potendo trasformare le pietre in pane. Lo spinge a piegarsi davanti a lui in adorazione per ricevere il potere “su tutti i regni della terra”. Lo spinge a gettarsi dal punto più alto di Gerusalemme per costringere Dio a dare una prova della sua lealtà. Luca conclude il suo racconto precisando che: “dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al tempo fissato”. Il diavolo si sarebbe di nuovo manifestato e lo avrebbe fatto nel momento dell’arresto e della condanna a morte di Gesù.
  • L’evangelista Luca racconta che, alla vigilia della festa di Pasqua, “Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era uno dei Dodici”. Da quel momento Giuda si metterà a trattare la consegna di Gesù con chi voleva ucciderlo. E a conclusione di quella che sarebbe stata l’ultima cena pasquale, Gesù rivela a Simone quello che nessuno dei discepoli poteva pensare. “Satana -dice– vi ha cercati per vagliarvi come il grano”. Per Pietro è stata durissima la prova nel cortile del sommo sacerdote dove viene riconosciuto da chi aveva in custodia Gesù e dove è costretto a negare di essere suo discepolo.
  • Nel deserto non ci sarebbe entrato solo Gesù. Nella prova ci sarebbero stati anche i suoi discepoli. Quella nella prova sembra essere una condizione per tutti: sia per Gesù come anche per i suoi discepoli. La vita mette sempre alla prova! A nessuno è risparmiata questa esperienza! “La Chiesa non sfugge alla contingenza storica”. Non le è dato di sottrarsi a sfide anche dure come quella lanciata da un mondo radicalmente cambiato. Lo illustra bene il cardinale De Kesel, arcivescovo emerito di Bruxelles, in un recente saggio in cui analizza il fenomeno dell’irrilevanza del Cristianesimo nella società moderna:

“La Chiesa ha sempre conosciuto crisi e le ha sempre superate. … Il fatto che la Chiesa abbia vissuto altre crisi nel corso della sua storia non ridimensiona in nessun modo la crisi che stiamo attraversando oggi che è unica e finora inedita. È la prima volta che la Chiesa si trova di fronte a una simile sfida. Prima dell’avvento della Modernità, il diritto di una religione non veniva mai messo in discussione. … Oggi non è più così. … Non si esclude che la fede possa avere un senso per la vita di un gran numero di cittadini, ma non per la società in quanto tale, né per la vita pubblica. Ovviamente questo rappresenta una grande sfida per la Chiesa. … La situazione e le condizioni in cui la Chiesa può esercitare la sua missione non sono più quelle su cui ha potuto contare per tanti secoli. Deve rinunciare a questo passato e si sta dirigendo verso un futuro che le è in gran parte ignoto. Di qui la sensazione di incertezza. Eppure, nulla prova che la Chiesa si priva di qualsiasi possibilità di futuro.

… Nel corso della storia e fino ad oggi, tutti gli uomini hanno abitato e abitano la stessa terra, ma non allo stesso modo; da qui la presenza di una pluralità di culture, che dipende dalle scelte che gli esseri umani compiono per costruire il loro universo. … Prima di tutto c’è la distinzione tra ciò che è vero e ciò che è falso. … Non si può vivere nella menzogna. Lo stesso vale per la distinzione tra bene e male. Non si potrebbe vivere in un mondo moralmente indifferente. … È impossibile per l’uomo mantenersi in un mondo in cui non esistono limiti o divieti. La distinzione di ciò che è permesso e ciò che è proibito è costitutiva di ogni cultura. … Nelle culture religiose, la religione svolge un ruolo decisivo … ogni aspetto è condizionato dal pensiero religioso: ciò che si ritiene vero o falso, bene o male, ciò che è permesso o proibito. … La religione è il quadro di riferimento in cui si pensa e si agisce. È in questo senso che per secoli l’Occidente è stato culturalmente cristiano.

… Solo con la Modernità la società comincia ad allontanarsi dalla religione ed evolvere verso un modello in cui nessuna religione svolge più questo ruolo determinante. … La nascita della cultura moderna ha messo fine alla posizione di monopolio del Cristianesimo.

Quando è sorta la Modernità? Cosa ha dato origine a una cultura non più religiosa?

… Non che esista un legame diretto tra la Riforma Protestante e l’avvento della Modernità. Martin Lutero non voleva fondare una nuova Chiesa; non voleva una Chiesa accanto alla Chiesa esistente. Voleva la riforma della Chiesa. Il suo progetto, però, non è andato a buon fine e così in Occidente si è disintegrata l’unità del Cristianesimo e della Chiesa. Ed è questa rottura che, insieme ad altri fattori, ha reso possibile l’avvento della Modernità. Da quel momento, infatti, invece della Chiesa esistevano varie confessioni. Ormai Cristianesimo si diceva al plurale. Il singolo non era più semplicemente cristiano, ma cattolico, luterano, riformato. Pluralizzando il Cristianesimo, la Riforma lo ha di fatto relativizzato. Ogni parte continuava ad assolutizzare la propria confessione. Poteva ancora, una delle confessioni continuare ad avere lo status di religione culturale per l’intera società? Lunghe trattative e soprattutto lunghi anni di violenza e guerre ci hanno portato a rispondere negativamente a questa domanda.

… Ognuno ha il diritto di scegliere la confessione che desidera. Si è voltata pagina. I tempi sono davvero cambiati. E’ nata la Modernità. La libertà è al centro di questa nuova cultura. … Non si viveva più in una realtà dove l’unica opzione possibile era una delle diverse denominazioni cristiane. E quello che valeva per le diverse confessioni cristiane, poco per volta varrà anche per le diverse religioni. Si avvicinava il giorno in cui sarebbe stato inevitabile accettare la legittimità del pluralismo religioso. E, infine, dopo lunghe peripezie, anche la legittimità di non avere nessuna convinzione religiosa.

… Il Cristianesimo può sopravvivere e la Chiesa ha ancora un futuro in un mondo che non è più cristiano? … Nelle culture religiose, la fede è un’opzione della cultura e non una scelta personale. … Non è affatto così in una società moderna, in cui la fede cristiana non è più l’opzione della stessa cultura, ma l’opzione personale del cittadino che è libero di scegliere questa o quella fede, libero di credere o non credere. Per la modernità tutto dipende da questa libertà. La libertà, però, è altrettanto preziosa per la fede cristiana; non c’è fede senza libertà, almeno per quanto riguarda una fede degna di questo nome. La fede, infatti, è la libera risposta di un essere umano a Dio che si fa conoscere e desidera entrare in relazione con lui”.

(Jozef De Kesel, Cristiani in un mondo che non lo è più, Città del Vaticano 2024)

L’evangelista Luca racconta che nei quaranta giorni passati nel deserto, Gesù “non mangiò nullama quando furono terminati, ebbe fame”. Il diavolo spinge Gesù a sfamarsi trasformando la pietra del deserto in pane. Il diavolo sfida Gesù sapendo che, come Figlio di Dio, era nella condizione di usare dell’onnipotenza divina per soddisfare al suo bisogno. Se Gesù avesse trasformato la pietra in pane avrebbe rinunciato a ciò che aveva scelto venendo nel mondo. Con quel miracolo avrebbe rinunciato a spogliarsi degli attributi della sua divinità per essere radicalmente in tutto un uomo. Riconoscendo che “«Non di solo pane vivrà l’uomo»”, Gesù respinge il diavolo e mostra di voler condividere la vita degli uomini su questa terra. Come stare da cristiani nella Modernità? Interessante è la riflessione proposta dal monaco Goffredo Boselli ad introduzione di un suo contributo, pubblicato sulla Rivista del Clero Italiano, che ha come oggetto la liturgia cristiana:

Oggi, a più di cinquant’anni di distanza giungiamo a toccare con mano la verità e la portata profetica dell’affermazione contenuta nella costituzione conciliare Gaudium et spes: “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anche lui più uomo” (n. 41). Sarà nella qualità umana della vita dei singoli credenti come dell’umanità vissuta all’interno delle comunità cristiane, e non da altro, che nei prossimi decenni si giocherà la credibilità e l’eloquenza del messaggio cristiano. L’umanesimo evangelico nella sua profonda complicità con l’umano autentico rappresenta il presente e soprattutto il futuro del cristianesimo nei paesi occidentali.

Così, la comprensione del cammino di fede sembra oggi orientarsi sempre più nella direzione che essere cristiano significa diventare pienamente uomo alla sequela di Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. “Egli – dichiara l’autore della lettera ai Colossesi – è l’immagine del Dio invisibile” (1,15), non solo perché l’umanissima vita di Gesù ci svela il suo essere Figlio di Dio, ma perché è nella sua umanità profondamente umana che egli rende visibile l’invisibile Dio. La verità evangelica della figura di Cristo ci dice che ormai Dio senza l’uomo Gesù non solo è impensabile ma è per noi cristiani non-credibile, dal momento che nel cristianesimo non si dà confessione della verità di Dio senza l’umanità di Cristo, ciò che ha portato Pascal ad affermare: “Non è soltanto impossibile ma è inutile conoscere Dio senza Gesù Cristo”.

Sì, per i cristiani è inutile e del tutto vano conoscere Dio senza Gesù Cristo, perché Dio non lo conosciamo attraverso idee, teorie, dottrine e speculazioni ma attraverso l’umanissima vita di Gesù di Nazaret. … Certo, l’umanità straordinaria dei gesti e delle parole di Gesù, ma anche il suo modo di entrare in relazione con chiunque andava a lui, sani o malati, peccatori pubblici o pii praticanti. Il suo particolare modo di ascoltare le persone, di entrare in empatia con loro fino a provare compassione viscerale. La sua capacità di interpretare i loro desideri e di riconoscere la fede perfino nei pagani. Ma l’umanità di Gesù Cristo si rivela anche nello sdegno e nella collera di fonte ad azioni di ingiustizia, nel suo atteggiamento spesso critico e polemico verso scribi e farisei, nella sua postura tenace e salda davanti agli uomini di potere sia esso religioso o politico.

Ma è nel suo modo di vivere la passione e il suo modo di morire che ci è data la più alta rivelazione della qualità umana di Gesù. È nel suo accettare di essere un innocente condannato a morte, di restare pura vittima e non diventare a sua volta carnefice, e di assumere su di sé tutta l’inumanità di cui l’uomo è capace che Gesù rivela il suo essere da Dio. “Il centurione, che si trovava di fronte a lui, vistolo spirare in qual modo, disse: ‘Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc 15,39). Dio non si dà mai a conoscere così pienamente come nell’uomo della croce. Tutta l’umanità di Dio nell’umanità sfigurata del crocifisso. Quell’umanità che la resurrezione ha esaltato e glorificato è l’identità di Dio stesso. Se i cristiani, con l’apostolo Giovanni, professano nella fede che “Gesù Cristo è il vero Dio” (1Gv. 5,20), dovrebbero con altrettanta audacia confessare che il vero Dio è Gesù Cristo.

(Goffredo Boselli, Il senso umano della liturgia, Rivista del Clero Italiano, Aprile 2019)

Cosa ci preoccupa del momento storico che stiamo vivendo? Che cosa, invece, ci dà speranza? “Non c’è fede senza libertà”: ci convince questo principio maturato nel cambiamento culturale al quale stiamo assistendo? Possiamo serenamente dire di essere cristiani perché lo abbiamo scelto? In quale modo abbiamo scelto di esserlo? Personalmente e comunitariamente quanto riusciamo a mostrare un volto credibile del Cristianesimo?

Dal Messale Romano alla Prima Domenica di Quaresima.

O Dio, nostro Padre,
con la celebrazione di questa Quaresima,
segno sacramentale della nostra conversione,
concedi a noi tuoi fedeli
di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo
e di testimoniarlo con una degna condotta di vita.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli. Amen.