In quel tempo,
Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni
per farsi battezzare da lui (Mt 3,13)

Ecco il Signore è vicino!
Cantiamo insieme l’infinita condiscendenza del nostro Dio
e affrettiamoci verso il luogo dove il Verbo della vita prende carne.
“Che possiamo offrirti, Cristo,
poiché sei apparso sulla terra quale uomo, per noi?
Ognuna delle creature da Te create ti offre la sua riconoscenza:
gli angeli il canto, il cielo la stella, i magi i doni,
i pastori la loro ammirazione,
la terra una grotta, il deserto una mangiatoia;
ma noi una Madre Vergine!
Tu che sei Dio che esistevi prima dei secoli, abbi pietà di noi!”
(VII stichirà dei Vespri del Natale).
Offriamo noi stessi, gli uni gli altri, a Colui che nasce per la nostra gioia.
“Mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei, viene dallo Spirito Santo” (Mt 1,20).
AUGURO A TUTTI IN QUESTA SETTIMANA
GIORNI FRUTTUOSI IN PREPARAZIONE
Carissimi Parrocchiani,
ieri in occasione della Festa di San Siro durante la Celebrazione eucaristica il nostro Vescovo Mons. Corrado Sanguineti ha presentato la sua lettera pastorale, Maestro dove abiti?, la prima che indirizza alla Diocesi. L’intenzione è di offrire una direzione di cammino per i prossimi mesi dell’anno. Avremo modo di confrontarci insieme e di raccogliere qualche luce per la nostra vita parrocchiale. Riporto ora la bella preghiera, rivolta a Maria, con cui si conclude la lettera. Potrà accompagnarci in queste giornate ultime che ci preparano al Natale.
O Madre dolcissima, Vergine che hai ascoltato l’annuncio dell’angelo e hai consentito all’Eterna Parola del Padre di farsi carne in te, Madre che hai creduto anche nell’ora buia della croce e hai gioito nell’alba della risurrezione, Discepola fedele, che hai camminato nella Chiesa della Pasqua e ti sei lasciata guidare e custodire dalla comunità degli apostoli, rinnova in noi la gioia di essere cristiani, membri del popolo generato dal Vangelo, uomini e donne che vivono, ogni giorno, la grazia dell’incontro con il Tuo Figlio Gesù. Donaci di essere Chiesa del Signore, segno vivo della tua presenza. Alla tua scuola, fa’ che nutriamo la nostra fede nell’ascolto ardente e luminoso della Parola di Dio. Donna eucaristica, insegnaci a celebrare, ad accogliere, ad adorare, con risorgente stupore, il Sacramento dell’Eucaristia, cuore della nostra vita. Serva sollecita e premurosa, che non tralasci nessun bisogno dei tuoi figli, fa fiorire in noi la carità, dono commosso della nostra vita, aiutaci a riconoscere e a incontrare nei fratelli e nelle sorelle, poveri, sofferenti, feriti nella prova, il Tuo Figlio che in loro bussa alla nostra porta e vuole farci dono della sua visita. Accompagna e sostieni Il cammino della nostra Chiesa, ottieni dal cuore del Signore il dono di sante vocazioni al ministero sacerdotale, alla vita consacrata, all’opera missionaria, custodisci le nostre famiglie, i nostri bambini, i nostri ragazzi e i nostri giovani, consola i nostri anziani, le persone sole, i malati, avvolgi con il tuo manto di madre i poveri, gli emarginati, i carcerati, i dimenticati. Ci affidiamo a Te, certi e lieti del tuo amore materno e fedele, e con tutto il nostro povero cuore, ciascuno di noi ti invoca e ti ripete: Mater Mea, Fiducia Mea! Amen.
Carissimi Parrocchiani,
abbiamo seguito alla luce dell’esperienza di fede di Mosè, le tappe che secondo San Gregorio di Nissa segnano il sentiero verso l’Alto di ciascuno. Il santo termina questa descrizione parlando del punto di arrivo di questo itinerario. Afferma che il cammino nel deserto – simbolo dell’ascesa dell’anima verso la perfezione – tende a una meta precisa: mira ad arrivare fino a Dio.
È una meta ambiziosa perché non può essere mai del tutto raggiunta dall’uomo dal momento che essendo limitato e peccatore non è in grado di elevarsi fino a Dio che è trascendente e santo. Pertanto, questa ascesa viene a configurarsi come un’incessante corsa verso l’Infinito: l’anima si sente sospinta verso Dio da un desiderio che cresce quanto più avanza verso la perfezione.
Infatti – scrive san Gregorio di Nissa – il nostro “desiderio, prendendo le mosse da ciò che possiamo conoscere, viene a crescere sempre più. Si scoprirà allora che non esiste un termine alla nostra ascesa verso Dio, perché la Bellezza per essenza non possiede limiti e il desiderio di essa non giungerà mai a sazietà” (La vita di Mosè, p. 184).
Per questa strada accadrà anche a noi, come a Mosè, di fare un’esperienza alquanto sorprendente: quantunque ci sia concesso di salire sempre più in alto e di avvicinarci a Dio, tuttavia non ci sentiremo mai arrivati; ugualmente, il nostro desiderio nei suoi confronti non si acquieterà e, pur pregustando già la bellezza di Dio, avvertiremo ancora la distanza da Lui.
Così, san Gregorio di Nissa descrive questa singolare esperienza:
(Come è accaduto a Mosè, che) dopo aver raggiunto così alte cime, la sua brama ancora non è sazia e mira a ottenere di più e avverte di aver ancora sete dopo aver bevuto e prega come se non avesse ottenuto; (così avviene anche) nell’anima che tende per sua natura alla vera bellezza. Essa sorretta dalla speranza di passare da una bellezza inferiore precedentemente ammirata a una superiore ancora nascosta, accende di continuo il suo desiderio. purificata dalle passioni, l’anima non smette di correre, le spuntano le ali. Sale con volo leggero e rapido verso le cime più alte. […] L’anima sale così ad altezze sempre maggiori […] attingendo nuove energie dai risultati raggiunti. Riconosciamo perciò che il grande Mosè, migliorandosi sempre più, mai ha cessato di salire e neppure, ha fissato un termine alla sua ascensione lungo la scala sulla quale stava il Signore. Egli sale di gradino in gradino senza sostare, poiché trova sempre un altro gradino dopo quello che ha lasciato dietro di sé (La vita di Mosè, pp. 181; 186; 178-179).
Dunque, il viaggio dell’anima è un salire sempre più in alto di gradino in gradino. Non è questa una fatica vana, perché questa ascesa arriva fino al punto di poter vedere Dio.
Ci sarà effettivamente concesso di vedere Dio; solo che avverrà nello stesso modo in cui è stato concesso a Mosè che poteva vedere Dio mentre era avvolto nella nube. Questo significa che la visione di Dio a cui noi possiamo arrivare non è mai del tutto nitida; la luce che promana da questa visione non dirada totalmente le ombre. In sostanza è un vedere Dio che si accompagna nello stesso tempo a un non-vedere: è il vedere della fede che è proprio dell’uomo pellegrino su questa terra. Solo al termine del nostro pellegrinaggio scomparirà il velo d’ombra che ci separa da Dio e, allora, finalmente Lo vedremo “a faccia a faccia” (1 Cor 13,12).
Don Luigi Pedrini
Carissimi Parrocchiani,
ritorniamo a guardare al nostro cammino di fede aiutati dal commento di san Gregorio di Nissa nella sua opera La vita di Mosè. Il santo ha già chiarito i requisiti per intraprendere il cammino verso l’Alto, ci ha anche avvertiti riguardo alle difficoltà che incontreremo all’inizio. Che cosa accade una volta che ci siamo messi in viaggio e ci siamo ormai inoltrati nel deserto?
Capiterà anche a noi come a suo tempo agli israeliti – risponde san Gregorio di Nissa – di giungere assetati a una sorgente che ha l’acqua imbevibile perché amara e di poterla bere soltanto dopo che Mosè vi avrà gettato il suo bastone rendendola così dolce e potabile. Che cosa significa tutto questo sul piano spirituale? Il santo risponde che per colui che ha appena abbandonato i piaceri dell’Egitto il cammino del deserto risulta all’inizio duro e disgustoso. È facile che insorgano in lui nostalgie, ripensamenti, desideri di ritorno al passato. E, tuttavia,
se egli getta il legno nelle acque amare, se cioè si dà a considerare il mistero della Risurrezione che prende inizio dal legno (mi riferisco evidentemente al mistero della croce) allora la vita virtuosa gli diventa più dolce e più saporosa di qualsiasi dolcezza grata al gusto, perché si fonda sulla speranza dei beni futuri.
Cammin facendo accadrà, poi, di giungere alle dodici fonti di acqua pura e dolce e alle settanta palme grandi e alte: anche noi come gli Israeliti potremo sotto la loro ombra ripararci dal sole e ristorare la nostra sete. Questa oasi di quiete rappresenta la Parola di Dio che dà conforto e forza: essa giunge a noi grazie alle “dodici sorgenti” che “indicano gli apostoli”, mentre “le settanta palme rappresentano gli apostoli mandati in tutto il mondo, in numero appunto di settanta”.
Continuando il cammino saremo anche testimoni del continuo ripetersi di due miracoli con quali il Signore provvederà alla nostra sete e alla nostra fame.
In primo luogo, ci sarà concesso di vedere la pietra spaccarsi in due per lasciar scaturire una copiosa sorgente d’acqua. Questa roccia che tutti disseta rappresenta Cristo.
Cristo è la roccia (1 Cor 10,4): pietra dura e resistente per gli increduli, ma che diviene acqua buona per l’assetato che si avvicini con la verga della fede. Cristo penetra nell’intimo di chi lo accoglie, poiché è lui stesso che afferma: “Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora in Lui” (Gv 14,23).
In secondo luogo, saremo nutriti di un pane che scende dal cielo sotto forma di manna per resistere agli spasimi della fame. Anche in questo pane dobbiamo vedere una rappresentazione di Cristo: Egli infatti è “il vero cibo”; “il pane celeste che è disceso tra noi in una sostanza corporale”.
Don Luigi Pedrini
Carissimi Parrocchiani,
dopo aver chiarito i requisiti necessari per colui che vuole uscire dall’Egitto, cioè per colui che vuole distaccarsi dalla mediocrità e intraprendere con decisione il cammino verso l’Alto, san Gregorio di Nissa si sofferma sulle difficoltà che segnano l’inizio del cammino. L’avvertimento della Scrittura al riguardo è chiaro: “Figlio se ti presenti per servire il Signore preparati alla tentazione” (Sir. 2,1-13). Il santo facendo eco a queste parole scrive:
Chi è uscito dal territorio della dominazione egiziana e si è messo in viaggio verso la meta delle virtù, non potrà evitare né assalti, né tentazioni, né prove di ogni genere: angustie, paure, pericoli mortali. Egli si sentirà tanto scosso nelle convinzioni della fede da poco entrate nella sua anima, che cadrà nella sfiducia più completa di poter raggiungere i beni cercati (p. 126)
Come si vede, non sono parole incoraggianti: san Gregorio di Nissa afferma che nel momento in cui ci si decide a lasciare l’Egitto – decisione che peraltro non è mai fatta una volta per sempre, perché la conversione abbraccia tutta la vita – le difficoltà che si parano davanti sono tali che è molto facile cedere allo sconforto e lasciarsi prendere dalla sfiducia.
In quale modo, allora, il Signore verrà in soccorso?
Anzitutto, non farà mancare al nostro fianco – risponde il santo – persone che come Mosè ci facciano da guida, persone che “sanno con il loro consiglio mettere freno alla paura, dar coraggio alle anime troppo impressionabili, suscitare la speranza dell’aiuto divino” (p. 126).
Inoltre, ci indicherà la strada mediante la colonna di nube che ci precede nel cammino.
Giustamente i nostri padri hanno cambiato nome a questa nube, identificandola con la grazia dello Spirito Santo da cui proviene ai santi la guida verso il bene. Chi le sta dietro, passa attraverso le acque del mare dove gli è stata aperta una strada. Lo Spirito Santo rende sicura la libertà che abbiamo acquistato, facendo in modo che gli inseguitori, decisi a catturarci, vengano affogati nelle acque (p. 127-128).
A questi aiuti si deve aggiungere, poi, il dono del Battesimo con il quale ci è concesso, come è accaduto agli israeliti, di attraversare il mare e di uscirne salvi. Non così per i nostri inseguitori: l’esercito egiziano, i suoi cavalli, i suoi cavalieri, i suoi carri che sono simbolo delle molteplici passioni che tiranneggiano l’uomo verranno infatti sommersi tutti e per sempre.
San Gregorio insiste su questo ‘per sempre’. Afferma infatti che:
Nessuno, una volta passato attraverso l’acqua, deve più trascinarsi dietro i resti dell’esercito nemico. Se permettiamo che il nostro nemico riemerga dall’acqua con noi, dopo l’immersione, questo significa che rimaniamo nello stato di schiavitù. […] (Pertanto) tutti coloro che passano attraverso le mistiche acque del battesimo devono annegare le cattive tendenze dell’anima e le opere che ne derivano, cioè tutto l’esercito del male: avarizia, desideri impuri, furto, vanità, superbia, violenza, ira, rancore, invidia, gelosia e tante altre passioni che la natura porta con sé dalla nascita (pp. 130-131).
Don Luigi Pedrini
Carissimi Parrocchiani,
lasciandoci condurre per mano da san Gregorio di Nissa leggiamo nel cammino spirituale di Mosè i passi che ogni credente è chiamato a compiere nel suo cammino verso l’Alto. È un sentiero irto di insidie con il quale il tentatore cerca di scoraggiare i più deboli nella fede, ma è anche un cammino di grazia. Cominciamo col delineare i requisiti che sono necessari perché possa iniziare questa ascesa.
Il primo requisito è la ferma decisione di intraprendere questo cammino. Naturalmente questa decisione non può essere imposta dall’esterno; è frutto di un atto libero di volontà. Per questo san Gregorio afferma che “noi siamo perciò in certo senso padri di noi stessi […] secondo che ci siamo lasciati guidare dalla virtù o dal vizio”. Chi liberamente corrisponde all’opera della grazia nella propria vita rivive in sé, a giudizio del santo, la nascita prodigiosa di Mosè.
Il secondo requisito consiste nella volontà di prendere le distanze dalla mentalità del mondo e quindi di portarsi decisamente sul terreno della fede. San Gregorio ritiene che Mosè abbia dato esempio di questo nel momento in cui è intervenuto nella lite tra un egiziano e un ebreo (simbolo il primo del “complesso delle dottrine del mondo pagano”; simbolo il secondo dell’ “insegnamento che appartiene all’autentica tradizione di fede di Israele”) e ha preso le difese di quest’ultimo. Pertanto, il secondo requisito consiste nel non scendere a compromessi con quanti oppongono resistenza alla vera dottrina di fede.
Il terzo requisito consiste nel combattere in noi tutti quei pensieri, desideri, progetti che non sono secondo la fede e che fanno guerra ai pensieri buoni che vengono da Dio. La lotta tra i due connazionali ebrei a cui assiste Mosè, questa lotta interna tra fratelli, è il simbolo del combattimento interiore con cui dobbiamo liberarci dalle passioni per far vincere le virtù. Per risultare vincitori è utile combattere le passioni sul nascere. Questo secondo san Gregorio è il significato spirituale sotteso alla decima piaga, la morte dei primogeniti.
È ovvio che nei fatti presentati dalla Scrittura dobbiamo vedere un significato spirituale… Qui ci insegna dunque che bisogna eliminare il male ai suoi inizi, quando noi, incamminati sulla strada della virtù, ci troviamo impegnati a debellare qualche nostra cattiva tendenza. Se eliminiamo il male non appena si manifesta viene automaticamente eliminata ogni sua conseguenza. Ce lo insegna Gesù nel Vangelo […] là dove ci comanda di sopprimere i moti convulsi della passione, affinché non abbiamo più a temere né l’ira, né l’adulterio, né l’omicidio. Se l’ira conduce al delitto e la passione impura all’adulterio, ciò significa che sono i moti della passione la causa di quelle colpe.
Prima della generazione di un figlio adulterino, c’è stata la generazione del desiderio che porterà all’adulterio e similmente prima dell’omicidio è avvenuta un’esplosione di ira nell’animo di chi l’ha commesso. Se elimini sul nascere un desiderio cattivo, già hai eliminato tutto ciò che da quel desiderio può derivare (pp. 115-116).
Don Luigi Pedrini
Carissimi Parrocchiani,
giunti al termine del cammino di Mosè, prima di congedarci da lui, voglio dire una parola sul testo al quale abbiamo fatto puntualmente riferimento al termine di ogni nostra tappa, cioè La vita di Mosè di san Gregorio di Nissa. Anzitutto per spiegare come è nato questo libro e come è strutturato; in secondo luogo, raccogliere in sintesi l’originale intenzionalità di questo testo che invita a leggere il cammino di Mosè come il viaggio spirituale di ogni credente verso la perfezione della fede.
All’origine di questo testo sta la richiesta che un giovane, probabilmente un monaco, aveva rivolto a san Gregorio di Nissa per avere da lui, “padre per tante anime”, qualche suo saggio consiglio sulla perfezione cristiana. Così è nata La vita di Mosè che è comunemente riconosciuta come un’opera di notevole valore ascetico-mistico.
È probabile che una certa influenza su san Gregorio nella scelta di porre attenzione alla vita di Mosè sia venuta da due precedenti che egli conosceva: un’opera scritta dal giudeo Filone (+ 50 d. C.) intitolata De vita Moysis e il contributo di un autore cristiano, Origene: il riferimento va alla Omelia 27 sui Numeri. San Gregorio, tuttavia, sviluppa la sua riflessione in modo del tutto originale.
L’opera si sviluppa due parti: la prima, più breve, si limita a raccontare i fatti, la trama della vicenda di Mosè; la seconda, più lunga, ne dà l’interpretazione spirituale con l’intento di stimolare il lettore alla pratica della virtù.
L’obiettivo di questa seconda parte è di descrivere una sorta di viaggio spirituale dell’anima verso le vette della perfezione cristiana. Si parte dalla lotta contro i vizi e le passioni e ci si eleva, passo dopo passo, in un cammino in continua progressione, verso le vette delle virtù.
Si tratta di un’ascesa incessante e, quindi, mai conclusa. Questo perché, come spiega san Gregorio, “chi persegue la virtù non mira ad altro che possedere Dio, la virtù per eccellenza”, obiettivo che chiaramente supera le possibilità dell’uomo: come potrebbe l’uomo finito possedere in sé Dio che è infinito? E allora che cosa possiamo fare? Si tratta – risponde san Gregorio – di “impegnarsi con ogni sforzo a non allontanarsi da quel grado di perfezione a noi possibile e farne sempre più graduale acquisto”, cercando quindi di migliorare sempre, perché “la sosta nella corsa della virtù è inizio della corsa verso il male” (p. 49).
In questo orizzonte si comprende che la scelta di san Gregorio sia caduta su Mosè: egli da uomo virtuoso, pellegrino nel deserto alla testa degli israeliti, sempre proteso verso un’ascesa senza sosta verso l’Alto, è modello esemplare di ogni anima che desidera progredire nella fede.
Don Luigi Pedrini
Carissimi Parrocchiani,
la riflessione originale di san Gregorio di Nissa che considera la morte di Mosè, come una ‘morte vivente’, prefigurazione della morte e risurrezione di Gesù, getta un fascio di luce anche sulla nostra vita.
Anche noi siamo continuamente chiamati a fare questo passaggio di morte e risurrezione; a entrare come Mosè in questa ‘morte vivente’ che è partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù.
Tutto è iniziato nel Battesimo che è stato per ciascuno di noi la prima Pasqua, il nostro passaggio del Mar Rosso: quel giorno siamo nati alla vita nuova in Cristo grazie al dono dello Spirito Santo. Siamo stati generati alla libertà dei figli di Dio.
Questo passaggio, però, continua per tutta la vita: si tratta di morire all’uomo vecchio sempre risorgente in noi per far crescere l’uomo nuovo secondo Cristo; si tratta di uscire dal chiuso del nostro egoismo per fare della nostra vita un dono a Dio e ai fratelli.
Tutta la vita è un cammino nel segno della Pasqua, cioè di un morire per risorgere a vita nuova. Il punto di arrivo di questo cammino sarà la vittoria completa della vita sulla morte che si compirà nel passaggio ultimo da questa vita a quella del ‘cielo’.
Dalla vita passeggera di questo mondo passeremo a quella eterna; lasceremo la fragilità di questa nostra umanità per diventare partecipi della pienezza della vita stessa di Dio in comunione con tutti i nostri fratelli.
Ecco il modo con cui una nostra contemporanea descrive questo passaggio luminoso che ci attende al termine di questo pellegrinaggio terreno: passaggio che può illuminare di speranza il nostro cammino anche nei suoi giorni più faticosi e oscuri.
(Noi) già abitiamo là, ( = in cielo) non dimentichiamolo; siamo in viaggio, ma egli ci ha introdotti in cielo insieme con la sua santissima umanità, che ha peregrinato e va ancora peregrinando con noi su questa terra.
Il nostro viaggio ha sempre il suo punto di partenza e di arrivo nel pellegrinaggio che il Verbo ha compiuto dal cielo alla terra e dalla terra al cielo. È uscito dal seno del Padre ed è rientrato con noi nel seno del Padre, cioè nel cuore della casa, nel cuore dell’Amore. Egli, che il Padre ha mandato nel mondo per essere nostro compagno di viaggio e insieme nostra via, è il cammino e insieme la santa montagna, il santuario e la luce che in esso risplende, la porta per entrare e l’Amato che ci accoglie.
Quando i brevi giorni di questa nostra esistenza si concluderanno per aprirsi sullo sconfinato orizzonte dell’eternità, troveremo là, tutta rivestita a primavera, la valle del pianto; essa sarà il luogo della nostra festa, del nostro incontro definitivo con il Signore e con la lunga carovana delle generazioni peregrinanti verso il Giorno dello splendore nel quale si compiono tutti i nostri brevi giorni” (A.M. Canopi, I Salmi, 1997, pp. 262-263).
Don Luigi Pedrini