Archivi categoria: Messaggio Settimanale

03 MARZO 2019

Cari fratelli,

iniziamo con questa settimana il nostro percorso quaresimale, un cammino di purificazione e di preparazione alla Pasqua, cuore e centro della nostra fede.

Cristo nella sua vita fece sempre quello che insegnò e, prima di dare inizio al suo ministero, trascorse quaranta giorni e quaranta notti nella preghiera e nel digiuno.

Inaugurò poi la sua missione pubblica con un messaggio colmo di gioia: Il regno di Dio è vicino.

Ma soggiunse subito: fate penitenza e credete al Vangelo.

Queste parole sono il compendio di tutta la vita cristiana.

Non si può accedere al regno di Dio se non attraverso quell’intimo e totale cambiamento dell’uomo, dei suoi pensieri, giudizi, modi di agire.

Per questo vi invito mercoledì all’imposizione delle ceneri e vi propongo ogni venerdì alla sera la Via Crucis.

Ricordo inoltre che tutti i venerdì di quaresima sono giorni di astinenza dalle carni, mentre mercoledì delle ceneri ed il venerdì santo sono anche giorni di digiuno.

 

Don Emilio

13 GENNAIO 2019

Carissimi Parrocchiani,

con un po’ di emozione mi accingo a scrivere questa ultima riflessione del nostro foglio settimanale. Sento il dovere di ringraziare per questo dialogo che abbiamo potuto intrattenere attraverso questo semplice strumento di comunicazione. Ci ha consentito di considerare insieme il cammino spirituale di alcune significative figure bibliche. Abbiamo seguito da vicino i passi del sentiero di Abramo, di Giacobbe, di Giuseppe, di Mosè e ora stavamo camminando sui passi di Davide.

Tutti questi sentieri si assomigliano e conducono alla stessa meta: quella di una più profonda comunione con Dio in Cristo grazie al dono dello Spirito Santo. E infatti lo Spirito che ci apre la mente e il cuore perché possiamo crescere nella conoscenza di Gesù e in Lui del Padre.

È stato bello salire verso l’Alto ora con un sentiero ora con un altro: pur nella somiglianza, ogni sentiero possiede una sua originalità e questo ci ha permesso di scoprire orizzonti nuovi attraverso il cammino spirituale di ciascuna figura biblica. Abbiamo imparato a sentirle vicine a noi constatando con meraviglia che nonostante la distanza nel tempo hanno ancora molto da insegnarci. Allo stesso tempo ci siamo anche resi conto che il nostro sentiero non potrà tuttavia essere semplicemente come il loro, perché ciascuno deve percorrere il “suo” sentiero. Certo vorremmo percorrerlo con quel coraggio, quella generosità, quella fede così come queste figure ci danno testimonianza in modo veramente esemplare.

È un desiderio che anch’io porto in me alla vigilia di iniziare un nuovo cammino. Un cammino per me inedito, al quale non avevo mai pensato e che accolgo dal Signore con la fiducia che è Lui che chiama e dà anche l’aiuto necessario per svolgere bene la missione che affida.

Apro una piccola parentesi personale. Negli anni del mio sacerdozio ho composto alcuni canti. Nel 2006 in occasione del mio XXV di ordinazione sacerdotale li ho pubblicati e risultavano esattamente 25. Da allora è nato in me il desiderio di comporre un canto all’anno e devo dire che sostanzialmente questo desiderio è stato esaudito. Da allora arrivando a oggi ho composto 13 canti, canti che, tranne il primo, ho composto qui a San Leonardo e che sono in sintonia con quanto andavo vivendo in mezzo a voi.

L’ultimo canto si intitola “Non temere” e porta la data del 10.01.2017. Ebbene devo confessarvi che quando mi capitava di cantarlo dicevo a me stesso: “Questo canto si adatta bene per un sacerdote che è chiamato a lasciare la sua parrocchia dopo tanti anni e si dispone a iniziare un nuovo impegno pastorale” Questa considerazione mi veniva spontanea anche sollecitato dai tanti cambiamenti di parrocchia che ci sono stati nell’estate del 2017.

Ora però sono io ad essere chiamato direttamente in causa, ora viene chiesto a me di cambiare e sento le parole di questo canto un po’ come rivolte a me.

Inizia così: “Non temere di uscire dal paese / dalla terra che ti appartiene / e di andare in un altro paese / nella terra che t’indicherò”. Queste parole ricordano che nella nostra vita in diverse occasioni risuona l’invito rivolto a suo tempo ad Abramo.

E poi il canto continua con un’altra esortazione: “Abbandona il tuo piccolo Egitto, / ove impera l’intraprendenza / e si ottiene l’acqua a fatica / quanto basta per la sussistenza. / Io ti porto in un altro paese / ove scorrono latte e miele / e i frutti maturano in forza / della pioggia che scende dal cielo”. Il passaggio dall’Egitto alla Terra promessa è un passaggio che tutti dobbiamo fare: abbandonare la terra delle nostre sicurezze dove siamo protagonisti con la nostra intraprendenza e imparare a fare affidamento alla bontà e fedeltà di Dio che sa concedere il necessario in tempo opportuno.

In terzo luogo, il canto invita a mettersi in cammino con la tranquilla certezza che si sta percorrendo il sentiero che il Signore vuole per noi: “Nel salire il tuo cuore abbia pace /perché questa è la strada da fare / è il sentiero che ho scelto per te / diverrai capace di amare”.

Il canto non nasconde le difficoltà che si incontreranno – sappi che proverai la fatica e a tratti la notte del cuore – ma assicura anche la presenza del Signore, pastore buono che cammina accanto a noi: “Ma io sono sempre al tuo fianco / come ombra ti copro di giorno / come sole che illumina e scalda / come brezza che spira d’intorno”.

Il canto si conclude con un’invocazione al Signore e poi con una speranza. Nell’invocazione si chiede il dono di arrivare fino alla vetta grazie alla perseveranza, vincendo pertanto la tentazione di fermarsi prima o perché il cuore si distrae e perde di vista la meta, o perché si lascia bloccare dalla paura: “O Signore concedi al tuo servo / di arrivare fin sulla vetta / Non mi frenino i fiori sul ciglio, né le asperità del cammino”. La speranza invece prospetta un futuro in cui si è immersi nella luce radiosa di Dio in piena comunione con Lui e con tutti i fratelli: “Sulla vetta troverò aria pura / e un sole raggiante nel cielo sereno / e sarò sempre con Te e la festa grande sarà… con Te e i fratelli per l’eternità”.

Questo canto-preghiera lo sento molto vicino in questo momento e diventa per me preghiera rivolta al Signore. Volentieri lo condivido con voi sapendo di poter contare sulla vostra benevolenza e sul vostro ricordo al Signore.

Don Luigi Pedrini

06 GENNAIO 2019

Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva,
finché giunse e si fermò sopra il luogo dove stava il bambino.
   Al vedere la stella provarono una gioia grandissima (Mt 2,9-10)

 

Adorazione dei Magi - Giootto

 BUONA FESTA

DELL’EPIFANIA

A TUTTI!

30 DICEMBRE 2018

PREGHIERA PER IL NUOVO ANNO

 

Accogli, o Padre Santo,

Dio eterno e onnipotente,

accogli questo anno che noi incominciamo.

Sin dal primo giorno,

sin dalle prime ore

desideriamo offrire a Te,

che sei senza inizio,

questo nuovo inizio.

Questa data ci accompagnerà

nel corso di molte ore, giorni,

settimane, mesi.

Giorno dopo giorno

apparirà davanti a ciascuno di noi

come un nuovo frammento del futuro,

che subito dopo cadrà nel passato

come del passato

fa ora parte l’intero anno trascorso.

L’ Anno Nuovo appare davanti a noi,

come una grande incognita,

come uno spazio

che dovremo riempire

con un contenuto,

come una prospettiva di avvenimenti

sconosciuti e decisioni da prendere.

Come una nuova tappa

e un nuovo spazio

della lotta di ogni essere umano

e insieme a livello della famiglia,

della società, delle nazioni:

dell ‘umanità intera

                                           (Giovanni Paolo II)

BUON ANNO A TUTTI!

16 DICEMBRE 2018

Le folle lo interrogavano: “Che cosa dobbiamo fare?”. 11Rispondeva loro: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto”.

12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: “Maestro, che cosa dobbiamo fare?”. 13Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. 14Lo interrogavano anche alcuni soldati:

“E noi, che cosa dobbiamo fare?“. Rispose loro: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”. 

15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali“.

18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

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02 DICEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

ci siamo soffermati a commentare nel dettaglio la promessa con la quale Dio assicura a Davide che benedirà la sua famiglia e che dalla sua discendenza nascerà un re che sarà per lui un figlio e che avrà un trono stabile per sempre.

Ora voglio documentare che questa promessa è sempre rimasta viva nella coscienza di Israele. Anche nel tempo in cui ormai non regna più in Israele la dinastia davidica, la speranza di un suo compimento non si è mai spenta. La conferma viene dai molteplici testi del Nuovo Testamento che espressamente ad essa si richiamano.

Tra questi possiamo ricordare anzitutto alcune parole significative che l’angelo Gabriele rivolge a Maria in occasione dell’Annunciazione. Sono espressioni che riprendono alla lettera la promessa davidica: Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32-33). L’elemento nuovo è che queste parole vengono lette ora in riferimento a Gesù.

Anche Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, nella sua preghiera che noi conosciamo sotto il nome di Benedictus, fa espressamente riferimento al messia regale che secondo la promessa fatta a Davide deve nascere nella sua casa: Benedetto il Signore, Dio d’Israele, / perché ha visitato e redento il suo popolo, / e ha suscitato per noi un Salvatore potente / nella casa di Davide, suo servo (Lc 1,68-69).

Pure significative sono le parole con il quale il cieco di Gerico supplica Gesù di prendersi cura di lui: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. L’importanza di questa testimonianza appare evidente se si considera che affiorano sulla bocca di una persona semplice che non beneficiava di un bagaglio teologico. Questo vuol dire che la promessa davidica apparteneva al sostrato culturale del popolo di Israele.

Una conferma di questo viene anche dalle parole che con cui la folla acclama Gesù che entra in Gerusalemme: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!”.

Anche nell’omelia con cui Paolo presenta la novità di Dio che si è compiuta in Gesù, egli può richiamarsi alla promessa davidica come un dato pacificamente conosciuto e consolidato nella coscienza di fede di Israele: Suscitò per loro Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri. Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù”. […] E noi vi annunciamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata, perché Dio l’ha compiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: “Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato”. Sì, Dio lo ha risuscitato dai morti, in modo che non abbia mai più a tornare alla corruzione, come ha dichiarato: “Darò a voi le cose sante di Davide, quelle degne di fede” (At 13,22-23.32-34).

Forse le parole finali di questa citazione non sono immediatamente comprensibili. Il senso però è questo: “Le cose sante di Davide”, vale a dire le promesse che Dio gli ha fatto, proprio in quanto vengono da Lui, non possono venire meno e andranno a compimento. Esse pertanto meritano di essere credute e accolte nella fede. Tuttavia, ora, quelle parole non sono più misteriose come in passato, per il fatto che noi sappiamo il modo con cui Dio le ha realizzate: la promessa fatta allora ha trovato compimento nella risurrezione di Cristo.

Don Luigi Pedrini

25 NOVEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

concludiamo la presentazione della promessa messianica fatta da Dio a Davide per bocca del profeta Natan, riportando ora il testo della preghiera con la quale Davide esprime a Dio il proprio ringraziamento. È una preghiera molto bella, intrisa di stupore e di gratitudine per grandi benefici ricevuti da Dio.

Il testo riferisce che dopo il congedo di Natan, Davide si raccoglie alla presenza del Signore e si rivolge a lui con queste parole:

“Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è la mia casa, perché tu mi abbia condotto fin qui? E questo è parso ancora poca cosa ai tuoi occhi, Signore Dio: tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire: e questa è la legge per l’uomo, Signore Dio! Che cosa potrebbe dirti di più Davide? Tu conosci il tuo servo, Signore Dio! Per amore della tua parola e secondo il tuo cuore, hai compiuto tutte queste grandi cose, manifestandole al tuo servo (2 Sam 7, 18-21).

Con queste parole Davide riconosce di aver ricevuto molto dal Signore: la sua benevolenza nei suoi confronti è andata al di là di ogni merito e aspettativa. Esprime pure una viva consapevolezza della propria piccolezza: è significativo infatti che per tre volte in pochi versetti parli di sé come servo. Il Signore conosce bene la sua pochezza (“Tu conosci il tuo servo, Signore “) e questo, tuttavia, non gli ha impedito di usargli misericordia: questo perché ha agito in fedeltà alla promessa fatta ai padri (per amore della tua Parola) e in forza di un amore gratuito (secondo il tuo cuore).

La memoria grata dei doni ricevuti apre spontaneamente la sua preghiera alla lode a Dio per la sua grandezza di cuore.

Tu sei davvero grande, Signore Dio! Nessuno è come te e non vi è altro Dio fuori di te, proprio come abbiamo udito con i nostri orecchi. E chi è come il tuo popolo, come Israele, unica nazione sulla terra che Dio è venuto a riscattare come popolo per sé e a dargli un nome operando cose grandi e stupende, per la tua terra, davanti al tuo popolo che ti sei riscattato dalla nazione d’Egitto e dai suoi dèi? Hai stabilito il tuo popolo Israele come popolo tuo per sempre, e tu, Signore, sei diventato Dio per loro (2 Sam 7,22-24).

La lode a Dio per i suoi doni diventa anche presa di coscienza della vocazione singolare che Dio ha liberamente ha tributato al popolo di Israele. Lo ha riscattato; lo ha reso sua proprietà, cioè lo ha consacrato a sé; gli ha dato un nome, cioè gli ha dato un’identità che è determinata non da fattori sociali o politici, ma dalla sua appartenenza a Lui. Israele, infatti, è popolo tuo per sempre, e tu, Signore, sei diventato Dio per loro.

La preghiera si conclude con la richiesta che Dio abbia a confermare per sempre la sua promessa:

Ora, Signore Dio, la parola che hai pronunciato sul tuo servo e sulla sua casa confermala per sempre e fa’ come hai detto. Il tuo nome sia magnificato per sempre così: “Il Signore degli eserciti è il Dio d’Israele! ‘ La casa del tuo servo Davide sia dunque stabile davanti a te! Poiché tu, Signore degli eserciti, Dio d’Israele, hai rivelato questo al tuo servo e gli hai detto: «Io ti edificherò una casa!». Perciò il tuo servo ha trovato l’ardire di rivolgerti questa preghiera. Ora, Signore Dio, tu sei Dio, le tue parole sono verità Hai fatto al tuo servo queste belle promesse. Dègnati dunque di benedire ora la casa del tuo servo, perché sia sempre dinanzi a te! Poiché tu, Signore Dio, hai parlato e per la tua benedizione la casa del tuo servo è benedetta per sempre!

Don Luigi Pedrini

18 NOVEMBRE 2018

Carissimi Parrocchiani,

nel riferire il contenuto della promessa di Dio fatta a Davide, la ‘promessa davidica’, siamo arrivati all’affermazione centrale: “Dio farà a te una casa”.

È un’affermazione molto importante che viene a ribaltare completamente l’intenzione originaria di Davide: tutto è iniziato dal suo progetto di voler costruire una casa dignitosa a Dio; ora, invece, Davide si sente dire Dio stesso costruirà a lui una casa.

Già accennavo che il termine ‘casa’ qui non va inteso nel suo significato materiale di abitazione, ma nel significato simbolico di discendenza, casato, regno. Lo illustra bene il seguito della promessa: Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno (2 Sam 7,12)

Siamo di fronte a una svolta storica nel cammino di Israele. Egli anche in passato ha beneficiato di persone che esercitavano un compito di guida: pensiamo a Mosè, a Giosuè, ai diversi giudici. Si trattava di figure carismatiche che Dio eleggeva di volta in volta e che venivano presentate al popolo. Il passaggio da una guida all’altra era sempre delicato: quando una guida stava per lasciare si insinuava facilmente nel popolo un senso di insicurezza e di smarrimento.

Ora Dio fa una promessa che costituirà l’inizio della dinastia davidica in Israele. Infatti promette a Davide che uno della sua discendenza eserciterà la regalità sugli Israeliti: colui che regnerà – gli dice – sarà uno “uscito dalle tue viscere”. Sarà lui a coronare il suo sogno, quello di edificare un tempio in Gerusalemme: “Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio” (2 Sam 7, 13-14a).

Storicamente queste parole si riferiscono a Salomone, il figlio nato a Davide dalla moglie Betsabea: a lui si deve la costruzione maestosa del tempio.

Sono degne di nota le parole finali di questo versetto: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio”. Si tratta di una formula di adozione quale si ritrova anche nei salmi ‘regali’, cioè in quelle preghiere che si recitavano in occasione dell’incoronazione del re (cfr. Sal 2.7; 110,3). In queste parole riconosciamo anche il primo annuncio della venuta di un re ideale, di un Messia, che sarà in tutto un pastore secondo il cuore di Dio.

Questa promessa, in realtà, non ha trovato attuazione in Salomone nonostante la saggezza esemplare di governo che egli possedeva. La stessa cosa vale per tutti i re che si sono succeduti e che appartenevano alla famiglia di Davide. in nessuno dei re storici di Israele: chiamati ad essere pastori secondo il cuore di Dio, hanno adempiuto la loro missione in modo imperfetto e talvolta in modo del tutto indegno.

Questo conferisce alla promessa di Dio un carattere aperto che legittima l’attesa di un discendente della famiglia di Davide che dia finalmente compimento alle parole di Dio. Si comprende allora che la ‘promessa davidica’ sia diventata la ‘spina dorsale’ della speranza messianica di Israele.

Peraltro, dai versetti che seguono nel testo pare di capire che in fondo una possibile smentita della promessa stessa Dio l’aveva già prevista e messa in conto senza, tuttavia, che questo avesse a mettere in crisi la sua fedeltà. Si legge infatti: “Se (il re) farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo, ma non ritirerò da lui il mio amore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso di fronte a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2 Sam 7,14b-16).

C’è da notare che proprio queste ultime parole risuonano all’inizio del Nuovo Testamento quando l’angelo Gabriele annuncia a Maria l’imminente venuta del Messia.

                                                                                                                 Don Luigi Pedrini