15 Aprile 2012

San Leonardo Confessore (Linarolo),  15 Aprile 2012

Carissimi Parrocchiani,
dopo i giorni della Pasqua, torniamo a rimetterci in ascolto della vicenda del patriarca Giacobbe. L’abbiamo lasciato nei pressi di Succot mentre si prepara ad entrare e a stabilirsi definitivamente nella sua terra natale, la terra di Canaan.

Per Giacobbe inizia una tappa nuova della sua vita. Egli stesso è un uomo cambiato. Dopo la notte della lotta con Dio che ha segnato la sua conversione, ora guarda in modo nuovo persone e cose. Avendo fatto l’esperienza della fedeltà di Dio nei suoi confronti, è capace di guardare ogni persona con uno sguardo di misericordia e di comprensione. Non è la compassione che nasce da un atteggiamento di superiorità che Io porta a guardare tutto a distanza senza lasciarsi coinvolgere; è, invece, la compassione che nasce dalla consapevolezza di essere peccatore e, nello stesso tempo, oggetto di una insperata misericordia.

Da questo momento vediamo in Giacobbe i tratti di un uomo pacificato. Infatti, il testo precisa che Giacobbe, dopo la separazione da Esaù, arrivò sano e salvo alla città di Sichem, che è nel paese di Canaan, quando tornò da Paddan-Aram e si accampò di fronte alla città (Gen. 33,18). “Sano e salvo” in ebraico è detto shalem che ha la stessa radice del sostantivo shalom che significa pace.

Anche gli abitanti di Sichem hanno una buona impressione di Giacobbe e della sua famiglia e, per questo, mostrano verso di lui un atteggiamento di cordiale accoglienza. Questi uomini sono gente pacifica: abitino pure con noi nel paese e lo percorrano in lungo e in largo… Così, dichiara una delle persone più autorevoli del luogo.

Le difficoltà, però, non tardano a manifestarsi. Le persone che gli stanno attorno, sia all’esterno, sia all’interno della cerchia familiare, combinano guai di ogni sorta.
Eppure, Giacobbe, di fronte a questi fatti dolorosi, rimane spettatore pensoso e parco di parole. Egli conserva viva memoria di quante peripezie è stato protagonista in passato; sa bene di aver procurato guai e sofferenze a persone care. Ora, davanti al male, si sente coinvolto in prima persona e, persine, in certa misura, corresponsabile. Se ne fa carico e, con pazienza, sopporta in silenzio e nella solitudine. È giusto sottolineare questa nota di solitudine, perché Giacobbe, da quando si è convcrtito, conosce anche la dimensione della solitudine.

Egli, pur avendo tanta gente attorno a sé – il Signore gli ha concesso una famiglia numerosa e anche la possibilità di mantenere al suo servizio servi e serve – è, tuttavia, un uomo solo. La conoscenza di Dio, che ha acquisito dopo l’esperienza drammatica della lotta, lo porta a guardare gli avvenimenti in un orizzonte sconosciuto ai più. Non trova nessuno attorno a lui col quale poter dialogare sulla stessa lunghezza d’onda, nessuno a cui poter raccontare le sue cose. In questa solitudine si trova a far fronte a guai di ogni genere.
Ma di questo parlerò la prossima volta.

Don Luigi Pedrini